mercoledì 25 febbraio 2015

STOP AL CALCIO GRECO

Alexis Tsipras, leader di Syriza e neo premier del governo greco, ha fermato il calcio greco. La decisione è stata presa a seguito degli scontri avvenuti domenica scorso fra i tifosi del Panathinaikos e quelli dell'Olimpiacos e fra i tifosi del Larissa e quelli dell'Olimpiakos Volou, con tanto di invasioni di campo e caccia ai giocatori. Violenza che si è poi trasferita anche nell'assemblea di Lega di martedì, con uno scontro fisico fra i presidenti di Panathinaikos e Olimpiacos. 
Tsipras ha deciso quindi di sospendere tutti i campionati delle diverse categorie fino a quando i rappresentanti dei diversi club non saranno in grado di garantire la sicurezza fuori e dentro gli stadi. Uno dei punti di discussione riguarda le normative relative alle telecamere da utilizzare sia dentro che al di fuori degli impianti sportivi, per garantire controllo e sicurezza, sulle quali ancora non c'è un accordo.
Quella di Tsipras è una presa di posizione netta, che farà certamente discutere, anche a seguito delle polemiche relative agli accordi economici con l'UE che hanno messo il premier greco al centro del dibattito pubblico in Grecia. Una decisione che però è anche molto coraggiosa e che sfida apertamente l'anarchia del tifo greco e gli interessi che ruotano attorno al calcio. Decisione che ad esempio non si è presa in Italia a seguito dei vari scandali riguardanti il calcioscommesse, né tantomeno a seguito dell'uccisione di Gabriele Sandri, il tifoso laziale ucciso da un poliziotto nel 2007. 
La sospensione del calcio greco - la terza nel corso di quest'anno e non di certo una scelta inedita nel corso della recente storia del calcio greco - crea un precedente importante nel quale la politica e le istituzioni si schierano apertamente e che difficilmente potrà essere ignorato negli altri campionati europei dalle rispettive Federazioni. Una sospensione che infila i bastoni fra le ruote ai numerosi e spropositati interessi economici che ruotano attorno ad uno sport che sembra assomigliare sempre di meno ad uno sport e sempre di più ad una fonte di guadagno non curante delle regole civili e sportive. A volte nemmeno della vita e della morte. 

domenica 22 febbraio 2015

LE RELAZIONI SOCIALI AI TEMPI DI FACEBOOK

Se avete visto The Social Network, il film diretto da David Fincher e sceneggiato da Aaron Sorkin che racconta come è nato Facebook, forse ricordate la scena nella quale un amico di Zuckerberg, il noto inventore del social network più prestigioso, è alle prese con le sue pene d’amore, essendo innamorato di una ragazza della quale però non sa niente. “Sai se è fidanzata?”, chiede il povero innamorato. Ecco il volto di Zuckerberg illuminarsi a queste parole. L’idea che gli viene in mente è brillante: non solo utilizzare il neonato social per conoscere hobby e interessi delle persone, ma anche per poter sapere se la persona che ci piace è impegnata oppure no.
Oggi possiamo scorrere i profili dei nostri amici e conoscere il loro status sentimentale: Single, Impegnato, Fidanzato ufficialmente, Sposato, In un coppia di fatto, Convivente, In un relazione aperta, In una relazione complicata, Separato, Divorziato, Vedovo. E naturalmente possiamo conoscere qualsiasi altra cosa, dal luogo di lavoro a quello di residenza, dalle relazioni familiari a quelle di amicizia. Insomma, si può condividere e conoscere tutto, o quasi, avendo un profilo generale di tutti. Eh già, oggi è così che funziona, volenti o nolenti. Se nelle vecchie generazioni per conoscere qualcuno bisognava chiedere un appuntamento, frequentarsi, scriversi e telefonarsi, oggi bastano pochi click per potersi già fare un’idea complessiva.
Certo, condividere informazioni personali sul web è una libera scelta. Il problema è il crescente flusso di informazioni che ne aumenta la richiesta, spingendoci inevitabilmente a dover rinunciare sempre di più ad un pezzetto della nostra vita privata rendendola pubblica. Il rischio infatti è quello di rimanere tagliati fuori: oggi non avere un profilo social rischia di precluderti di essere connesso con i tuoi amici, ma anche di ottenere opportunità di lavoro.
Immagine Flickr
Oggi si comunica sempre più velocemente e con più persone contemporaneamente: sono nati prima i gruppi su Facebook e le chat allargate su Messenger, poi WhatsApp e la possibilità di messaggiare in maniera comoda e istantanea dal proprio smartphone. I messaggi volano in una frazione di secondo e addirittura possiamo vedere se il nostro interlocutore ha visualizzato il messaggio oppure no. Alla faccia della privacy.
Tutto ciò ha inevitabilmente mutato i rapporti interpersonali di ognuno di noi. Basti pensare, ad esempio, che secondo l’Associazione degli avvocati matrimonialisti WhatsApp è la causa del 40% dei divorzi italiani come prova di tradimento. Abbiamo centinaia di amici su Facebook e di follower su Twitter e su Instagram. Eppure, nella vita reale, quanti di questi sono davvero nostri amici? Capita addirittura di incontrare per strada, nella vita reale, uno dei nostri amici virtuali senza nemmeno salutarsi. Condividiamo con essi foto, pensieri e ogni genere di informazione sul web, ma probabilmente non lo faremmo nella vita reale, nella quale le modalità di comunicazione non sono intermediate da schermi. O almeno per ora. Già, perché stiamo assistendo ad un mutamento dei comportamenti sociali sempre più influenzato dal ruolo dei social network nella nostra vita. Ruolo che probabilmente sta diventando sempre più importante e invasivo.
Ci si potrebbe dilungare interrogandosi sull’uso delle nuove tecnologie e dei social network, concludendo che la tecnologia è in costante evoluzione e che l’unica soluzione consiste in un suo uso responsabile. Il punto più importante però è lo spazio che noi le concediamo nella nostra vita, lasciando che essa guidi le nostre relazioni. Nella maggior parte dei casi forse non ne siamo nemmeno consapevoli, eppure basta uscire la sera, sedersi ad un tavolo al bar per bere una birra e fare due chiacchiere, e vedere i tuoi amici che guardano continuamente il cellulare, magari per rispondere ai commenti del selfie che vi siete appena scattati e che è stato immediatamente postato su Facebook.

Certo, inutile demonizzare i social e la tecnologia, li usiamo tutti e saremmo degli ipocriti a sostenete il contrario, magari immaginando una società priva di essi. Forse si starebbe meglio, o peggio, non lo sappiamo. Ciò che dobbiamo difendere però è la bellezza di una parola, di un bacio, di un abbraccio e di un sorriso donati di persona, faccia a faccia e non attraverso uno schermo freddo.

venerdì 20 febbraio 2015

NON CHIAMATELI TIFOSI

Ieri sera, all'Olimpico di Roma, si è svolto il match di Europa League fra Roma e Feyenoord, terminato con il risultato di 1 a 1. Alcune ore prima però si registrava una grande sconfitta: quella del calcio, ma anche della cultura e del buon senso. I tifosi olandesi in trasferta nella Capitale hanno messo sotto assedio il centro della città, scontrandosi con la polizia e devastando Campo de' Fiori e Piazza di Spagna, con danno stimati oltre i tre milioni di euro per quanto riguarda le attività commerciali.
Fontana del Bernini 
Scene già viste molte volte, non solo in Italia, purtroppo. Se non fosse che a farne le spese questa volta sono state in primis l'arte e la cultura. Già, perché i galantuomini olandesi hanno ben pensato di danneggiare - e non lievemente - la Barcaccia, la fontana situata in Piazza di Spagna, appena restaurata per un costo di circa 200mila euro. Il gioiello del Bernini, riempito di spazzatura, fumogeni e bottiglie di birra, riporta danni superiori a quelli che si potevano prevedere subito dopo gli scontri: oggi è stato effettuato un primo sopralluogo da parte di tecnici e restauratori dal quale risulta difficile riportare l'opera come era prima. 
Inutile dire che è scoppiata la polemica fra il sindaco di Roma, Ignazio Marino, il prefetto e le autorità disposte per la sicurezza e l'ordine pubblico, ma anche con le rappresentanze olandesi e la società del Feyenoord. È in corso il classico giochino del darsi la colpa a vicenda, chiedendo l'uno le dimissioni dell'altro. Ma quello che conta è la straripante ignoranza diffusa fra quelli che non possono essere chiamati tifosi. Il tifoso va allo stadio per tifare, non per devastare. Il tifoso sostiene la sua squadra, canta, balla, esulta, non spacca e devasta ogni cosa che vede. Su giornali e telegiornali in queste ore si legge "La Barcaccia devastata dai tifosi del Feyenoord". In realtà quelli che hanno danneggiato la fontana del Bernini - probabilmente senza nemmeno sapere cosa fosse - chiamateli pure barbari, delinquenti, animali storditi dall'alcol, ma non tifosi. Il tifoso è un'altra cosa. 

giovedì 12 febbraio 2015

"DOPO PARIGI CHE GUERRA FA": LIMES A PORDENONE

Ieri sera, presso la Sala Consiglio Provinciale di Pordenone, si è tenuto il secondo incontro del XIX corso di geopolitica organizzato da Historia e dal LiMes Club Pordenone Udine Venezia, del quale è stato ospite il direttore della rivista italiana di geopolitica LiMes, il prof. Lucio Caracciolo. 
Argomento di discussione e di analisi è stato principalmente il ruolo dell'ISIS nella politica internazionale, alla luce dei fatti di Parigi che hanno dato ancora maggior risalto al terrorismo. Il prof. Caracciolo ha ripercorso brevemente la storia dell'ISIS, dalla sua nascita da una costola di Al Qaeda nel 2005/2006 fino alla proclamazione del Califfato da parte di Al Baghdadi il 29 giugno scorso, passando anche per le ribellioni avvenute in Siria nel 2011/2012 che hanno dato a questa organizzazione terroristica uno stampo fortemente militare e un ruolo da protagonista nel mondo arabo. Elemento fondamentale per comprendere la nascita di questa formazione jihadista è il fatto che essa occupi un vuoto geopolitico in Iraq, causato dalla sconfitta di Saddam nel 2003 a seguito dell'offensiva statunitense. Ciò ha permesso all'ISIS di allargarsi e affermarsi geopoliticamente, fino a diventare una sorta di brand in grado di attrarre numerosi seguaci nel mondo arabo grazie all'uso di una matrice religiosa legata all'estremismo islamico e alla legge islamica, la Shari'a
Il nuovo numero di LiMes,
Dopo Parigi che guerra fa,
presentato ieri a Pordenone
(Immagine tratta da
temi.repubblica.it)
Uno stampo fortemente ideologico e che ricalca le orme di Al Qaeda, con la quale lo Stato Islamico è entrato in competizione. Esso è riuscito ad attuare un'azione geopolitica di controllo del territorio iracheno e dei suoi traffici di ogni genere, da quelli legati al petrolio a quelli relativi ai reperti archeologici: traffici che sono le fonti di guadagno dell'ISIS, alle quali bisogna aggiungere i riscatti degli ostaggi. Si potrebbe dire che lo Stato Islamico rappresenti una evoluzione di Al Qaeda, dalla quale si differenzia per la sua impronta più criminale e meno legata ad una sorta di missione divina legata alla religione musulmana e al Profeta Maometto. Lo Stato Islamico infatti è in grado di attrarre  anche seguaci non legati alla fede islamica: fra essi si possono trovare ebrei, atei e anche europei, affascinati, paradossalmente, da una concezione di redenzione universale dell'ISIS, la cui missione sarebbe quella di salvare l'umanità. 
Per questo motivo lo Stato Islamico attrae l'attenzione mediatica mondiale, come testimoniano i video delle brutali uccisioni degli ostaggi. Esso mette in mostra grosse potenzialità economiche e territoriali, dato che si presenta come un vero e proprio Stato al quale fanno riferimento tassazioni ai cittadini ma anche fornitura di servizi, dalla sanità all'istruzione. L'ISIS mostra però anche forti potenzialità mediatiche e militari: oltre ad una comunicazione molto curata e articolata, i mezzi di cui si serve sono infatti le jeep americane abbandonate dagli USA dopo la fine delle guerra in Iraq, così come per molti armamenti. 
Il prof. Caracciolo si è anche soffermato sulla dinamiche legate alla politica internazionale che
Lucio Caracciolo,
direttore di LiMes
(Immagine temi.repubblica.it)
caratterizzano lo Stato Islamico, come la coalizione anti ISIS formata da numerosi paesi arabi come il governo iracheno di Baghdad, l'Iran e i curdi, oltre naturalmente ai paesi europei e gli USA. Interessante è il ruolo di Israele, che non considera l'ISIS un vero e proprio nemico e con il quale c'è un tacito accordo di non belligeranza che comporta il disinteresse dell'organizzazione terroristica verso la Palestina e la Questione Palestinese. Dinamica legata anche alla paradossale alleanza Iran-USA che si scontra con l'inimicizia fra lo stesso Iran e Israele, quest'ultimo storicamente vicino agli Stati Uniti. A ciò si aggiunge il ruolo della Turchia, alleato NATO da cui territori e confini però passano molti degli jihadisti. 
L'incontro di ieri presso la
Sala Consiglio Provinciale di Pordenone
Altro argomento di analisi è stata la questione relativa all'Ucraina, che rischia di degenerare in uno scontro fra Russia e USA (qui un approfondimento). Il governo ucraino è infatti al collasso economico e militare, e solo un riarmo da parte degli Stati Uniti potrebbe ridare forza contro la Russia. Finanziamenti americani comporterebbero però una reazione da parte di Putin, il quale ha già attuato una mobilitazione patriottica e propagandistica contro gli USA. Altro fattore importante è il fatto che l'Ucraina non è mai stata considerata da parte russa uno Stato ma una sorta di regione a maggioranza russa, e per questo legittimamente da ricondurre al suo controllo. Su questo punto è non trascurabile il referendum sull'autodeterminazione della Crimea dello scorso marzo, che ha visto il 97% della popolazione favorevole al ricongiungimento con la Russia, così come non è trascurabile la volontà del popolo russo di annettere l'Ucraina. 
I negoziati che stanno avvenendo in questi giorni fra Putin, Hollande, Merkel e Porashenko (è di poco fa la notizia del raggiungimento dell'accordo per un cessate il fuoco) ruotano intorno al pericolo del crollo del confine orientale, che spinge molti europei in una chiave anti-russa, spaventata dalla minaccia di un'espansione dell'imperialismo russo. 

lunedì 9 febbraio 2015

LA LEGA E IL MERIDIONALE: DA TERÙN A ELETTORE

Matteo Salvini, leader della Lega Nord, ieri si trovava in Sicilia, a Palermo, per incontrare i sostenitori di Con Salvini, il movimento per il Sud nato per dare supporto alla Lega anche nel Meridione. Come era lecito aspettarsi però, la sua visita non è stata gradita da tutti i palermitani. Numerose sono state infatti le contestazioni, con tanto di lancio di uova contro il leader leghista, slogan, cartelli e cori come "Lega ladrona", "I leghisti aiutamoli a casa loro", "Je Suis Terùn" e "Valigia di cartone fa rima con terrone", riprendendo i tipici motti leghisti contro i meridionali. 
Salvini si è difeso, mostrando la felpa con la scritta Sicilia e chiedendo scusa "se abbiamo avuto toni eccessivi in questi anni con il Sud e i meridionali", sottolineando come allo stesso tempo ci siano molti siciliani che la pensano come la Lega in tema di corruzione, mafia e immigrazione. Il leader della Lega si è lasciato anche andare a qualche elogio alla Sicilia, come si evince dalla dichiarazione sui cannoli, "che a Milano non sono come quelli della Sicilia".
In sostanza, come è naturale che sia, Salvini sta cercando di far dimenticare la crociata leghista contro il Meridione, che aveva nell'ex leader Umberto Bossi il più convinto sostenitore. "Roma ladrona" e "Dal Po in giù l'Italia non c'è più" erano i cavalli di battaglia di Bossi, che più volte in passato non aveva perso occasione per dipingere i meridionali come dei nullafacenti che rubano il lavoro a quelli del nord. Se prima il nemico erano i meridionali, oggi il capro espiatorio sono gli immigrati. Oggi sono loro a rubare il lavoro a quelli del nord, anzi, agli italiani. Perché per Salvini non c'è più il Nord contro il Sud, ma l'Italia contro gli stranieri. Con Salvini anche i meridionali sono degli elettori, e
come tali devono essere trattati.
Ecco spiegata la sua discesa al Sud, da molti interpretata come semplice e pura campagna elettorale. Apertura al Sud peraltro per niente gradita a Bossi, che lo scorso dicembre aveva invitato lo stesso Salvini a farsi un partito suo, lasciando la Lega ai leghisti. 
Insomma, ecco, in una generazione, la trasformazione del meridionale: da terùn che ruba il lavoro a cittadino elettore da tener buono con elogi sui cannoli. 

IL CERCHIO


Immaginatevi, per un momento, mentre vi apprestate a leggere queste righe. Probabilmente siete comodamente distesi sul divano o sul letto, con il vostro pc sulle gambe, a rilassarvi soli soletti. Cercate ora di guardarvi da un punto esterno mentre leggete, mentre accavallate le gambe, sbadigliate o sorridete, pensando di essere da soli con voi stessi, al riparo da sguardi indiscreti. Soli con la vostra privacy. Adesso immaginate che quel punto esterno sia una telecamera, affissa in un punto qualunque della stanza, che scruta ogni vostra azione, trasmettendola in diretta streaming ad un pubblico di follower. Forse vi starete chiedendo se fosse davvero possibile una cosa del genere, una società nella quale ogni istante della vita di ogni singolo individuo viene trasmessa in diretta. Sì, forse le vostre sinapsi si sono attivate velocemente e starete formulando proprio questo pensiero: “Aspetta, ma una società del genere è una società senza privacy!”.
Sì, esatto, una società senza privacy. È la società nella quale vive Mae, protagonista femminile del romanzo Il Cerchio di Dave Eggers, editore della rivista McSweeney’s e fondatore della scuola di scrittura creativa per bambini 826 Valencia. Mae è una ragazza che ha grandi progetti per il suo futuro, e grazie alla sua amica Annie riesce a dare il via ai suoi piani iniziando a lavorare per il Cerchio, società della quale Annie è uno degli esponenti di spicco. Mae viene catapultata in un mondo diverso dal suo, ma estremamente affascinante, espressione di tutti i suoi desideri: al Cerchio lavorano persone interessanti, giovani, brillanti, piene di idee e progetti in grado di migliorare la vita delle persone e il mondo intero. Tutto attraverso la tecnologia, Internet e i social network. Mae è stupita dalla bellezza di quel posto, una specie di paradiso terrestre in grado di fornire ogni cosa e soddisfare ogni necessità. Un posto quasi magico, che sembra poter in qualche modo guarire le persone cercando di eliminare le loro problematiche, i loro limiti, i loro difetti, i loro errori. Il tutto attraverso le informazioni, la loro conoscenza e la loro condivisione: “Per guarire dobbiamo conoscere. Per conoscere dobbiamo condividere”, è uno dei motti del Cerchio.
L’obiettivo della società è quello di eliminare le zone d’ombra della vita delle persone, facendo luce su ogni aspetto della loro vita. Altro motto è infatti: “Tutto quello che succede deve essere conosciuto”. Il Cerchio lavora senza sosta per realizzare il suo obiettivo: raggiungere la perfezione, ossia il completamento del Cerchio, la sua chiusura. Questo è l’obiettivo di Eamon Bayley, uno dei Tre Saggi che hanno ideato la società e che diventerà una sorta di guida e di modello per Mae, in grado di farla diventare una vera e propria star e ambasciatrice della società. Non tutti però sono persuasi da questa perfezione utopica. Mae verrà infatti messa in guardia dai suoi
Copertina del romanzo Il Cerchio,
di Dave Eggers
(Immagine tratta da iTunes)
genitori, ma soprattutto dal suo amico Mercer e da Kalden, un uomo misterioso che riesce a sedurla senza però rivelare completamente la sua identità. Sia Mercer che Kalden cercheranno, in tempi e modalità diverse, di mostrare alla giovane ragazza quelli che sono i rischi dell’eliminazione della privacy: l’utilizzo di informazioni per ricattare e diffamare; il tempo libero dedicato dalle persone ai social per ottenere buoni giudizi dagli altri; l’obbligo di condivisione che pregiudica ogni tipo di libertà personale; il guardare gli altri con gli occhi della Rete dando spazio a pettegolezzi, pregiudizi e dicerie; le smisurate e incontrollate ricerche sulla vita delle persone in base ai contenuti da esse postate sui social; la possibilità di influenzare gusti e comportamenti attraverso precisi algoritmi in grado di influenzare la personalità degli individui guidando così anche le loro relazioni interpersonali.
Ma il Cerchio ha anche un altro obiettivo: creare una democrazia completamente trasparente al fine di eliminare corruzione e brogli, ottenendo così una democrazia partecipativa attraverso liste elettorali create tramite i profili social della popolazione. A ciò si aggiungerebbe l’obbligo di voto, al fine di perfezionare le democrazia e conoscere la volontà del popolo. I rischi che si nascondono dietro a questa forma di democrazia, chiamata Demoxie, sono il controllo del voto e la sua non segretezza: per il Cerchio infatti “I segreti sono bugie e la privacy è un furto”, mentre “Condividere è prendersi cura”. La completa trasparenza comporterebbe infatti rischi quali l’etichettamento, ma soprattutto l’eliminazione della possibilità di scegliere liberamente. Si creerebbe cioè un monopolio tirannico che elimina la libertà e che controlla ogni tipo di informazione, dove “il sapere è una proprietà e nessuno può rivendicarne il possesso”, secondo quello che Eggers definisce infocomunismo.
Il Cerchio è quindi un romanzo dai forti toni critici verso una società presente che rischia una deriva morale, sociale e politica in un futuro non molto lontano, sul modello di 1984 di George Orwell. 

domenica 8 febbraio 2015

Sì, VIAGGIARE

Viaggiare. Una parola che suscita subito svariate sensazioni, che racchiude sentimenti, speranze, ricordi. Viaggiare. Una parola che può essere la risposta a molte domande. “Cosa ti piace fare nel tuo tempo libero?” “Viaggiare”. “Se vincessi un sacco di soldi, cosa ti piacerebbe fare?” “Viaggiare”.
C’è chi compie lunghi viaggi in giro per il mondo, scoprendo cose che non pensava nemmeno esistessero. C’è chi viaggia con la mente, immaginando di visitare posti che non sa se un giorno riuscirà a vedere. Tutti viaggiano, chi per svago, chi per lavoro, chi con la fantasia. Si potrebbe dire che il viaggio faccia parte della vita dell’uomo, anzi, che la sua stessa vita, in fin dei conti, sia un viaggio. Un viaggio del quale non si ricorda l’inizio - se non attraverso le fotografie e i racconti dei genitori - e del quale non si conosce la fine. Un viaggio che può essere pieno di ostacoli, difficoltà, dolore, ma anche pieno di gioie, sorprese e speranze.
Tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo sognato o immaginato un viaggio. Lo abbiamo pensato magari pieno di avventure, pieno di bellezze da conoscere, pieno di novità da affrontare. Ogni nostro viaggio ha una meta, sia essa una località dove passare le vacanze estive o il posto più lontano che possiamo immaginare e desiderare. A volte anche per scappare via.
Ogni viaggio ha un punto di partenza e un punto di arrivo. Due punti che potrebbero essere congiunti con una linea retta, ma che noi vorremmo invece unire attraverso un percorso pieno di curve, perché il bello del viaggio è il più delle volte proprio il viaggio in sé. Una volta raggiunta la meta si raggiunge l’apice e si vorrebbe restare lì, fermi a godersi eternamente quel momento, ripensando a come ci siamo arrivati, ai momenti che ci hanno portato fino a lì.
Viaggiamo in macchina, in treno, in aereo. Anche a piedi. Ogni modalità ci regala qualcosa, ci permette di vedere il mondo in maniera diversa. Stiamo seduti in treno o in macchina e osserviamo il paesaggio fuori dal finestrino, mentre ogni cosa appare e scompare in una frazione di secondo in una scia di colori e oggetti che si confondono fra loro. Stiamo seduti in aereo e in poco tempo possiamo percorrere distanze considerevoli, osservando il mondo dall’alto, sentendoci in qualche modo potenti, mentre ogni cosa sembra essere infinitamente piccola, mentre attraversiamo le nuvole e ci sembra di parlare a tu per tu con il sole.
Incontriamo altri viaggiatori in aeroporto, al bar di una stazione, in autogrill. Li incontriamo pieni di
borse, zaini e valige, e ognuno di essi ha una meta, un obiettivo da raggiungere. Proprio come noi. Molte volte queste mete sono le medesime e sulla strada che ci porta ad esse incontriamo dei compagni di viaggio. Altre volte la stessa strada ci porta a dei bivi, a delle scelte a volte anche dolorose che comportano dei saluti o degli addii. Eppure il viaggio ci permette di condividere molte cose, per poco o per molto tempo, cambiandoci e arricchendoci.
Scriveva Edgar Allan Poe: “Viaggiare è come sognare: la differenza è che non tutti, al risveglio, ricordano qualcosa, mentre ognuno conserva calda la memoria della meta da cui è tornato”.


martedì 3 febbraio 2015

IL DISCORSO DEL NUOVO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA MATTARELLA

Oggi alle 10 si è tenuta a Montecitorio la cerimonia di giuramento del nuovo presidente della repubblica, Sergio Mattarella. Ecco il testo integrale del suo discorso, nel quale il nuovo capo dello Stato ha parlato di lavoro, di mafia, di riforme costituzionali, di governo, di terrorismo e di unità nazionale. 
"Signora presidente della camera dei deputati, signora vice presidente del senato, signori parlamentari e delegati regionali,
Rivolgo un saluto rispettoso a questa assemblea, ai parlamentari che interpretano la sovranità del nostro popolo e le danno voce e alle regioni qui rappresentate.
Ringrazio la presidente Laura Boldrini e la vice presidente Valeria Fedeli.
Ringrazio tutti coloro che hanno preso parte al voto.
Un pensiero deferente ai miei predecessori, Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano, che hanno svolto la loro funzione con impegno e dedizione esemplari.
A loro va l’affettuosa riconoscenza degli italiani.
Al presidente Napolitano che, in un momento difficile, ha accettato l’onere di un secondo mandato, un ringraziamento particolarmente intenso.
Rendo omaggio alla corte costituzionale organo di alta garanzia a tutela della nostra carta fondamentale, al consiglio superiore della magistratura presidio dell’indipendenza e a tutte le magistrature.
Avverto pienamente la responsabilità del compito che mi è stato affidato. 
La responsabilità di rappresentare l’unità nazionale innanzitutto. L’unità che lega indissolubilmente i nostri territori, dal nord al mezzogiorno. 
Ma anche l’unità costituita dall’insieme delle attese e delle aspirazioni dei nostri concittadini. Questa unità, rischia di essere difficile, fragile, lontana.
L’impegno di tutti deve essere rivolto a superare le difficoltà degli italiani e a realizzare le loro speranze. 
Sergio Mattarella,
nuovo Presidente della Repubblica
La lunga crisi, prolungatasi oltre ogni limite, ha inferto ferite al tessuto sociale del nostro paese e ha messo a dura prova la tenuta del suo sistema produttivo.
Ha aumentato le ingiustizie.
Ha generato nuove povertà.
Ha prodotto emarginazione e solitudine.
Le angosce si annidano in tante famiglie per le difficoltà che sottraggono il futuro alle ragazze e ai ragazzi.
Il lavoro che manca per tanti giovani, specialmente nel mezzogiorno, la perdita di occupazione, l’esclusione, le difficoltà che si incontrano nel garantire diritti e servizi sociali fondamentali.
Sono questi i punti dell’agenda esigente su cui sarà misurata la vicinanza delle istituzioni al popolo.
Dobbiamo saper scongiurare il rischio che la crisi economica intacchi il rispetto di principi e valori su cui si fonda il patto sociale sancito dalla costituzione.
Per uscire dalla crisi, che ha fiaccato in modo grave l’economia nazionale e quella europea, va alimentata l’inversione del ciclo economico, da lungo tempo attesa.
È indispensabile che al consolidamento finanziario si accompagni una robusta iniziativa di crescita, da articolare innanzitutto a livello europeo.
Nel corso del semestre di presidenza dell’Unione europea appena conclusosi, il governo - cui rivolgo un saluto e un augurio di buon lavoro - ha opportunamente perseguito questa strategia.
Sussiste oggi l’esigenza di confermare il patto costituzionale che mantiene unito il paese e che riconosce a tutti i cittadini i diritti fondamentali e pari dignità sociale e impegna la repubblica a rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’eguaglianza.
L’urgenza di riforme istituzionali, economiche e sociali deriva dal dovere di dare risposte efficaci alla nostra comunità, risposte adeguate alle sfide che abbiamo di fronte.
Esistono nel nostro paese energie che attendono soltanto di trovare modo di esprimersi compiutamente.
Penso ai giovani che coltivano i propri talenti e che vorrebbero vedere riconosciuto il merito.
Penso alle imprese, piccole medie e grandi che, tra rilevanti difficoltà, trovano il coraggio di continuare a innovare e a competere sui mercati internazionali.
Penso alla pubblica amministrazione che possiede competenze di valore ma che deve declinare i principi costituzionali, adeguandosi alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie e alle sensibilità dei cittadini, che chiedono partecipazione, trasparenza, semplicità degli adempimenti, coerenza nelle decisioni.
Non servono generiche esortazioni a guardare al futuro ma piuttosto la tenace mobilitazione di tutte le risorse della società italiana.
Parlare di unità nazionale significa, allora, ridare al Paese un orizzonte di speranza.
Perché questa speranza non rimanga un’evocazione astratta, occorre ricostruire quei legami che tengono insieme la società.
A questa azione sono chiamate tutte le forze vive delle nostre comunità in patria come all’estero.
Ai connazionali nel mondo va il mio saluto affettuoso.
Un pensiero di amicizia rivolgo alle numerose comunità straniere presenti nel nostro paese.
La strada maestra di un paese unito è quella che indica la nostra costituzione, quando sottolinea il ruolo delle formazioni sociali, corollario di una piena partecipazione alla vita pubblica.
La crisi di rappresentanza ha reso deboli o inefficaci gli strumenti tradizionali della partecipazione, mentre dalla società emergono, con forza, nuove modalità di espressione che hanno già prodotto risultati avvertibili nella politica e nei suoi soggetti.
Questo stesso parlamento presenta elementi di novità e di cambiamento.
La più alta percentuale di donne e tanti giovani parlamentari. Un risultato prezioso che troppe volte la politica stessa finisce per oscurare dietro polemiche e conflitti.
I giovani parlamentari portano in queste aule le speranze e le attese dei propri coetanei. Rappresentano anche, con la capacità di critica, e persino di indignazione, la voglia di cambiare.
A loro, in particolare, chiedo di dare un contributo positivo al nostro essere davvero comunità nazionale, non dimenticando mai l’essenza del mandato parlamentare.
L’idea, cioè, che in queste aule non si è espressione di un segmento della società o di interessi particolari, ma si è rappresentanti dell’intero popolo italiano e, tutti insieme, al servizio del paese.
Tutti sono chiamati ad assumere per intero questa responsabilità.
Condizione primaria per riaccostare gli italiani alle istituzioni è intendere la politica come servizio al bene comune, patrimonio di ognuno e di tutti.
È necessario ricollegare a esse quei tanti nostri concittadini che le avvertono lontane ed estranee.
La democrazia non è una conquista definitiva ma va inverata continuamente, individuando le formule più adeguate al mutamento dei tempi.
È significativo che il mio giuramento sia avvenuto mentre sta per completarsi il percorso di un’ampia e incisiva riforma della seconda parte della costituzione.
Senza entrare nel merito delle singole soluzioni, che competono al Parlamento, nella sua sovranità, desidero esprimere l’auspicio che questo percorso sia portato a compimento con l’obiettivo di rendere più adeguata la nostra democrazia.
Riformare la costituzione per rafforzare il processo democratico.
Vi è anche la necessità di superare la logica della deroga costante alle forme ordinarie del processo legislativo, bilanciando l’esigenza di governo con il rispetto delle garanzie procedurali di una corretta dialettica parlamentare.
Come è stato più volte sollecitato dal presidente Napolitano, un’altra priorità è costituita dall’approvazione di una nuova legge elettorale, tema sul quale è impegnato il parlamento.
Nel linguaggio corrente si è soliti tradurre il compito del capo dello Stato nel ruolo di un arbitro, del garante della costituzione.
È una immagine efficace.
All’arbitro compete la puntuale applicazione delle regole. L’arbitro deve essere - e sarà - imparziale. I giocatori lo aiutino con la loro correttezza.
Il presidente della repubblica è garante della costituzione.
La garanzia più forte della nostra costituzione consiste, peraltro, nella sua applicazione. Nel viverla giorno per giorno.
Garantire la costituzione significa garantire il diritto allo studio dei nostri ragazzi in una scuola moderna in ambienti sicuri, garantire il loro diritto al futuro.
Significa riconoscere e rendere effettivo il diritto al lavoro.
Significa promuovere la cultura diffusa e la ricerca di eccellenza, anche utilizzando le nuove tecnologie e superando il divario digitale.
Significa amare i nostri tesori ambientali e artistici.
Significa ripudiare la guerra e promuovere la pace.
Significa garantire i diritti dei malati.
Significa che ciascuno concorra, con lealtà, alle spese della comunità nazionale.
Significa che si possa ottenere giustizia in tempi rapidi.
Significa fare in modo che le donne non debbano avere paura di violenze e discriminazioni.
Significa rimuovere ogni barriera che limiti i diritti delle persone con disabilità.
Significa sostenere la famiglia, risorsa della società.
Significa garantire l’autonomia ed il pluralismo dell’informazione, presidio di democrazia.
Significa ricordare la Resistenza e il sacrificio di tanti che settanta anni fa liberarono l’Italia dal nazifascismo.
Significa libertà. Libertà come pieno sviluppo dei diritti civili, nella sfera sociale come in quella economica, nella sfera personale e affettiva.
Garantire la costituzione significa affermare e diffondere un senso forte della legalità.
La lotta alla mafia e quella alla corruzione sono priorità assolute.
La corruzione ha raggiunto un livello inaccettabile.
Divora risorse che potrebbero essere destinate ai cittadini.
Impedisce la corretta esplicazione delle regole del mercato.
Favorisce le consorterie e penalizza gli onesti e i capaci.
L’attuale pontefice, Francesco, che ringrazio per il messaggio di auguri che ha voluto inviarmi, ha usato parole severe contro i corrotti: “Uomini di buone maniere, ma di cattive abitudini”.
È allarmante la diffusione delle mafie, antiche e nuove, anche in aree geografiche storicamente immuni. Un cancro pervasivo, che distrugge speranze, impone gioghi e sopraffazioni, calpesta diritti.
Dobbiamo incoraggiare l’azione determinata della magistratura e delle forze dell’ordine che, spesso a rischio della vita, si battono per contrastare la criminalità organizzata.
Nella lotta alle mafie abbiamo avuto molti eroi. Penso tra gli altri a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Per sconfiggere la mafia occorre una moltitudine di persone oneste, competenti, tenaci. E una dirigenza politica e amministrativa capace di compiere il proprio dovere.
Altri rischi minacciano la nostra convivenza.
Il terrorismo internazionale ha lanciato la sua sfida sanguinosa, seminando lutti e tragedie in ogni parte del mondo e facendo vittime innocenti.
Siamo inorriditi dalle barbare decapitazioni di ostaggi, dalle guerre e dagli eccidi in Medio Oriente e in Africa, fino ai tragici fatti di Parigi.
Il nostro paese ha pagato, più volte, in un passato non troppo lontano, il prezzo dell’odio e dell’intolleranza. Voglio ricordare un solo nome: Stefano Taché, rimasto ucciso nel vile attacco terroristico alla Sinagoga di Roma nell’ottobre del 1982. Aveva solo due anni. Era un nostro bambino, un bambino italiano.
La pratica della violenza in nome della religione sembrava un capitolo da tempo chiuso dalla storia. Va condannato e combattuto chi strumentalizza a fini di dominio il proprio credo, violando il diritto fondamentale alla libertà religiosa.
Considerare la sfida terribile del terrorismo fondamentalista nell’ottica dello scontro tra religioni o tra civiltà sarebbe un grave errore.
La minaccia è molto più profonda e più vasta. L’attacco è ai fondamenti di libertà, di democrazia, di tolleranza e di convivenza.
Per minacce globali servono risposte globali.
Un fenomeno così grave non si può combattere rinchiudendosi nel fortino degli Stati nazionali.
I predicatori d’odio e coloro che reclutano assassini utilizzano internet e i mezzi di comunicazione più sofisticati, che sfuggono, per la loro stessa natura, a una dimensione territoriale.
La comunità internazionale deve mettere in campo tutte le sue risorse.
Nel salutare il corpo diplomatico accreditato presso la repubblica, esprimo un auspicio di intensa collaborazione anche in questa direzione.
La lotta al terrorismo va condotta con fermezza, intelligenza, capacità di discernimento. Una lotta impegnativa che non può prescindere dalla sicurezza: lo Stato deve assicurare il diritto dei cittadini a una vita serena e libera dalla paura.
Il sentimento della speranza ha caratterizzato l’Europa nel dopoguerra e alla caduta del muro di Berlino. Speranza di libertà e di ripresa dopo la guerra, speranza di affermazione di valori di democrazia dopo il 1989.
Nella nuova Europa l’Italia ha trovato l’affermazione della sua sovranità; un approdo sicuro ma soprattutto un luogo da cui ripartire per vincere le sfide globali. L’Unione europea rappresenta oggi, ancora una volta, una frontiera di speranza e la prospettiva di una vera unione politica va rilanciata, senza indugio.
L’affermazione dei diritti di cittadinanza rappresenta il consolidamento del grande spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia.
Le guerre, gli attentati, le persecuzioni politiche, etniche e religiose, la miseria e le carestie generano ingenti masse di profughi.
Milioni di individui e famiglie in fuga dalle proprie case che cercano salvezza e futuro proprio nell’Europa del diritto e della democrazia.
È questa un’emergenza umanitaria, grave e dolorosa, che deve vedere l’Unione europea più attenta, impegnata e solidale.
L’Italia ha fatto e sta facendo bene la sua parte e siamo grati a tutti i nostri operatori, ai vari livelli, per l’impegno generoso con cui fronteggiano questo drammatico esodo.
A livello internazionale la meritoria e indispensabile azione di mantenimento della pace, che vede impegnati i nostri militari in tante missioni, deve essere consolidata con un’azione di ricostruzione politica, economica, sociale e culturale, senza la quale ogni sforzo è destinato a vanificarsi.
Alle forze armate, sempre più strumento di pace ed elemento essenziale della nostra politica estera e di sicurezza, rivolgo un sincero ringraziamento, ricordando quanti hanno perduto la loro vita nell’assolvimento del proprio dovere.
Occorre continuare a dispiegare il massimo impegno affinché la delicata vicenda dei due nostri fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, trovi al più presto una conclusione positiva, con il loro definitivo ritorno in Patria.
Desidero rivolgere un pensiero ai civili impegnati, in zone spesso rischiose, nella preziosa opera di cooperazione e di aiuto allo sviluppo.
Di tre italiani, padre Paolo Dall’Oglio, Giovanni Lo Porto e Ignazio Scaravilli non si hanno notizie in terre difficili e martoriate. A loro e ai loro familiari va la solidarietà e la vicinanza di tutto il popolo italiano, insieme all’augurio di fare presto ritorno nelle loro case.
Onorevoli parlamentari, signori delegati,
per la nostra gente, il volto della repubblica è quello che si presenta nella vita di tutti i giorni: l’ospedale, il municipio, la scuola, il tribunale, il museo.
Mi auguro che negli uffici pubblici e nelle istituzioni possano riflettersi, con fiducia, i volti degli italiani:
il volto spensierato dei bambini, quello curioso dei ragazzi.
i volti preoccupati degli anziani soli e in difficoltà il volto di chi soffre, dei malati, e delle loro famiglie, che portano sulle spalle carichi pesanti.
Il volto dei giovani che cercano lavoro e quello di chi il lavoro lo ha perduto.
Il volto di chi ha dovuto chiudere l’impresa a causa della congiuntura economica e quello di chi continua a investire nonostante la crisi.
Il volto di chi dona con generosità il proprio tempo agli altri.
Il volto di chi non si arrende alla sopraffazione, di chi lotta contro le ingiustizie e quello di chi cerca una via di riscatto.
Storie di donne e di uomini, di piccoli e di anziani, con differenti convinzioni politiche, culturali e religiose.
Questi volti e queste storie raccontano di un popolo che vogliamo sempre più libero, sicuro e solidale. Un popolo che si senta davvero comunità e che cammini con una nuova speranza verso un futuro di serenità e di pace.
Viva la repubblica, viva l’Italia!"