martedì 14 novembre 2017

L'Italia chiamò. Nessuno (o quasi) rispose.

Trovare le parole il giorno dopo un'eliminazione dai play-off di qualificazione ai Mondiali di calcio non è per niente facile. Forse perché la realtà è che non ci sono parole giuste da pronunciare, né tantomeno riflessioni da snocciolare: quelle saranno da fare a freddo, una volta cominciata a digerire la nuda e cruda realtà. Già, perché dopo sessant'anni l'Italia non parteciperà ai Mondiali di calcio. 




Poco male, direte: sono tutti sfaticati strapagati a cui non importa niente. E chissà, magari è anche vero. Ma questa sarà una di quelle riflessioni da fare domani o dopodomani o fra una settimana, insieme a quella sullo stato di salute del calcio italiano, dai settori giovanili sempre meno valorizzati agli stadi ancora troppo fatiscenti e inadeguati, passando per società sempre meno italiane. 

Ma oggi, il giorno dopo, dobbiamo solo pensare a cominciare a prendere atto di quello che è successo ieri sera. Partendo dal non nascondere che il non qualificarsi ai Mondiali è un vero e proprio dramma sportivo. Sì, perché quando a giugno cominceranno le partite, noi tifosi italiani non ne vorremo sapere. Anche solo parlare di calcio ci farà venire la nausea, la nostalgia, l'invidia, la rabbia. 

Niente corse al supermercato a fare scorte di birre ghiacciate, niente tricolori esposti su balconi e finestre, niente facce pitturate di verde bianco e rosso, niente Inno cantato a squarciagola né chiacchiere da bar sulla formazione e i pronostici sulle partite del girone. Niente speranze di arrivare in fondo, gara dopo gara, gol dopo gol, sogno dopo sogno. 

Niente di tutto questo, che è svanito ieri sera al triplice fischio di una partita dopo la quale San Siro si è dipinto di un giallo che non avremmo mai voluto si accendesse. Il nostro orgoglio italiano viene ancora una volta ferito da quella Svezia che ci ha fatto assaggiare l'amaro gusto del biscotto con la Danimarca nel 2004, infliggendoci un'altra umiliazione dura da digerire.

La frenesia dell'attesa di un sogno da realizzare questa volta non ci verrà protagonisti, ma spettatori. "Gli italiani perdono partite di calcio come se fossero guerre e perdono guerre come se fossero partite di calcio", disse una volta Winston Churchill. Ed è vero, siamo fatti così. Il calcio è forse l'unico pretesto che ci unisce davvero sotto i colori di una bandiera, l'unico momento in cui sappiamo raccoglierci nel nostro essere italiani condividendo un obiettivo comune. La Nazionale è forse una delle poche cose che ci fa dimenticare le nostre divisioni interne e ci fa sentire una cosa sola. 

La delusione del giorno dopo è forse anche la consapevolezza che tutto questo ci mancherà ancor più della speranza di alzare una coppa salendo sul tetto del mondo. È la delusione di rendersi conto che per noi italiani la Nazionale serve a rispolverare quell'unità che spesso ci dimentichiamo. 

L'Italia chiamò, ma nessuno rispose. O quasi. Sì, perché se c'è chi non ha saputo essere all'altezza, Gianluigi Buffon rappresenta invece quell'unica nota positiva in un concerto stonato di un'orchestra allo sbando. Vent'anni con la maglia azzurra non meritavano di concludersi con una serata così amara, ma il ringraziamento umano e sincero del popolo italiano è sicuramente più forte di qualsiasi sconfitta sportiva. 



Un popolo che da questa caduta ha il dovere e la responsabilità di trovare la forza e l'orgoglio di destarsi nuovamente. 









sabato 11 novembre 2017

In una mattinata di sole mi sono imbattutto nel signor Mario, alla ricerca di via Magolfa

Dopo una settimana di pioggia e nuvole, Milano decide di risvegliarsi col sole. Un sole tiepido che non scalda, ma sufficiente a far scorrere vita in città in un sabato mattina di inizio novembre. E allora ecco che decido di far parte di questo flusso di persone decise a godersi la città, prendo il tram 10 e vado. Mi immergo fra le vie di Milano senza decidere dove e quando scendere, lasciandomi trasportare. Il tram è forse il mezzo di trasporto più bello e rilassante che ci sia: non devi guidare, non sei sommerso dalla frenesia della metro, non sei sottoterra ma alla luce ma soprattutto i suoi passeggeri non hanno fretta. Mi siedo vicino all'uscita, mentre salgono e scendono papà e mamme con bambini, ragazzi africani carichi di stecche di sigarette da smerciare in giro, donne in missione shopping e vecchietti. Questi ultimi sono forse i più interessanti, una sorta di memoria storica di una città in continuo cambiamento e allo stesso tempo una grande fonte di energia nonostante tutta la loro fragilità. 

La Stazione Centrale, il cimitero Monumentale e via fino all'Arco della Pace, mentre le chiacchiere e le urla festose dei bambini a bordo si mischiano al rumore delle rotaie. Borse della spesa, passeggini e monopattini fanno da sfondo, fino a quando il tram non si ferma al capolinea di Piazza 24 Maggio, per una sosta prima di ripartire a ritroso. Scendo e decido di vagare per la Darsena e i Navigli, fra artisti di strada e turisti. È quasi mezzogiorno e non fa freddo, ma la punta del naso si gela comunque un po'. Quel freddo tollerabile che ti tiene sveglio e attivo, mentre un ragazzo suona e canta "Rebel Rebel" di David Bowie. 

"Scusi, mi sa dire dove si trova via Magolfa?"

Mi giro in direzione della provenienza della voce e mi ritrovo davanti un vecchietto, avvolto in un cappotto beige, una coppola marrone chiaro e lo sguardo filtrato da un paio di occhiali da vista con le lenti fotocromatiche. 

Rispondo che non lo so, ma mi offro di trovargliela su Google Maps. 

"Grazie, dovrebbe essere qui vicino al Naviglio. Milano non è più come ai miei tempi. Ormai sono vecchio"

Trovo il percorso e in realtà il simpatico vecchietto non era mica lontano dalla destinazione. Gli spiego la strada e mi ringrazia. Sta cercando un ristorante in cui andava spesso, quasi fosse spinto da una improvvisa nostalgia. Mi saluta e prende la sua direzione, mentre io prendo quella opposta. Penso a quanto fosse simpatico e a quanto assomigliasse al vecchietto di Up. 




Continuo il mio vagare in una zona Navigli stranamente tranquilla rispetto al fiume di gente che la frequenta alla sera. Fino a quando, più o meno un quarto d'ora dopo, incontro nuovamente il vecchietto. 

"Purtroppo il ristorante era chiuso. Peccato". 

Quella punta di malinconia si mischia a una contrastante positività d'animo, un mix raro che mi incuriosisce. Gli chiedo allora come si chiama. 

"Mi chiamo Mario" - risponde. 

Mi presento e gli chiedo se posso offrirgli un caffè o un bicchiere di vino. Mi sorride e gentilmente declina l'invito. 

"Continuo le mie passeggiate. Anche se la mia Milano è ormai cambiata. Ora che sono da poco vedovo poi... Sai, io sono del '27 mentre lei era del '29. Ora è tutto diverso". 

Mi dà una pacca sulla spalla e mi saluta, sempre con l'allegria del suo sorriso e la malinconia  dei suoi occhi, nascosti dagli occhiali. E per un momento penso che il signor Mario, forse, altro non potesse essere che il vecchietto di Up. 

Rimango qualche secondo a guardarlo mentre si allontana a passo lento. La curiosità mi spinge così ad andare in via Magolfa. Al mio arrivo, alla targa con il nome della via sul muro se ne aggiunge un'altra, che recita: "Via della Poesia". La percorro in tutta la sua bellezza e tranquillità. Cerco su Google il perché via Magolfa sia nota come la via della poesia e trovo questo articolo del Corriere, che racconta di come seguisse un'antica roggia della vecchia Milano e del campanile della chiesetta di Santa Maria del Sasso, dal quale si vedono ancora i tetti dove salivano gli uomini a pulire i camini. In fondo, la casa che ricorda Alda Merini, poetessa e aforista milanese ricordata anche grazie al caffè letterario dedicatole, in una cornice di graffiti sui muri che costeggiano la via con alcuni dei suoi aforismi. 

Un aforisma di Alda Merni. Sullo sfondo il campanile della "chiesetta degli spazzacamini"

Via Magolfa, la Via della Poesia

Un murales raffigurante Alda Merini (1931-2009)



In una mattinata di sole mi sono imbattuto nel signor Mario, alla ricerca di via Magolfa e probabilmente di quel ristorante in cui chissà quante volte avrà portato la sua amata moglie. Regalando a me una storia e un pezzo della vecchia Milano. 


giovedì 2 novembre 2017

LA PERSECUZIONE DEI ROHINGYA

"Centinaia di donne stanno in piedi nel fiume con i fucili puntati addosso e l'ordine di non muoversi. Un gruppo di soldati si avvicina a una ragazza minuta, Rajuma, con l'acqua fino alla vita e il suo neonato tra le braccia. 'Tu', le fanno i militari. Lei si blocca. Stringe il bambino ancora più forte. Nei minuti successivi, violenti e confusi, i soldati colpiscono Rajuma sul volto, le strappano il figlio dalle braccia e lo gettano tra le fiamme. Poi la portano in una casa e la stuprano". 

Rajuma è una rohingya e la sua storia è stata raccolta da Jeffrey Gettleman, giornalista del New York Times. Sta cercando di attraversare il fiume Naf per raggiungere uno dei campi profughi in Bangladesh. Fugge dalla Birmania, dove le violenze dell'esercito stanno portando avanti una vera e propria pulizia etnica nei confronti di una minoranza per niente riconosciuta nella Paese del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi.



Photo Credit: Kevin Frayer


Una minoranza che non vede riconosciuti diritti civili e politici, la cui discriminazione è anche di carattere religioso. I rohingya sono infatti musulmani che vivono nel Rakhine, apolidi considerati immigrati bangladesi e discriminati dalla maggioranza rakhine, di religione buddista. Una maggioranza che ha paura della diversità e che considera i rohingya una minaccia per la propria identità.

All'interno del numero 1228/anno 24 di Internazionale (27 ott-2 nov 2017) due articoli di Francis Wade sul The New York Review of Book e di Lee Jones sul New Mandala raccontano dei seicentomila rohingya scappati dalla Birmania verso il Bangladesh, dell'odio verso questa etnia e delle sue radici storiche e politiche. A partire dal colonialismo britannico fino a un'ostilità che oggi è sostenuta dalla maggioranza della popolazione, passando da una transizione democratica che non è pienamente riuscita. Nel 2010 infatti il potere è passato dalla giunta militare a un governo civile, oggi guidato da Aung San Suu Kyi, liberata dopo 26 anni di arresti domiciliari. Eppure proprio il premio Nobel per la pace sembra non essere particolarmente sensibile alla situazione dei rohingya, considerati dalla maggioranza della popolazione birmana "un'etnia cattiva".


Photo Credit: Kevin Frayer


Una situazione che ha visto il coinvolgimento degli Stati Uniti, che tramite il segretario di Stato Rex Tillerson lo scorso 24 ottobre ha parlato di "pulizia etnica", con sanzioni che potrebbero essere inflitte alla Birmania nel caso in cui la crisi umanitaria non dovesse rientrare. Cosa molto difficile, data la situazione di piena emergenza e un odio culturale che non può certo cancellare decenni di ostilità radicata. 

In questo articolo del The Guardian, il racconto fotografico della precarietà dei rohingya nei campi profughi e la drammaticità del loro esodo al confine con il Bangladesh tramite il fiume Naf. Reportage a opera di Kevin Frayer (@kevinfrayer), fotografo canadese autore di numerosi reportage in Asia e Medioriente.

http://www.kevinfrayer.com/ 


Photo Credit: Kevin Frayer





mercoledì 12 luglio 2017

BREVE GUIDA SU DOVE E COME INFORMARSI PER COMBATTERE LE FAKE NEWS


L’informazione dei nostri giorni è sempre più influenzata dal dibattito sulle fake news, quelle notizie false e/o appositamente create ad hoc per far passare un determinato messaggio, a discapito di quella che molti amano definire verità dei fatti. Un fenomeno che sta sempre più caratterizzando i social network, in particolare Facebook, diventati ormai arena di dibattiti di ogni genere e megafono di notizie che, purtroppo, spesso e volentieri seguono la logica del telefono senza fili. E proprio il classico risultato di questa logica, dove l’ultimo ricevitore del messaggio apprende un contenuto assai lontano da quello reale, ha portato Facebook a cominciare la sua battaglia alle fake news, con l’obiettivo di rendere l’ambiente social uno spazio di fruizione di una informazione sana e non manipolata. 
Ma il dibattito sulle fake news è l’occasione per parlare anche di un altro discorso, ossia quello inerente a come dovremmo informarci, quotidianamente, per non cadere in questa trappola. Certamente i social network, sui quali gli stessi mezzi di informazione stanno puntando molto (dagli Instant Articles alla produzione di contenuti video), sono un canale fondamentale nella ricezione delle notizie, visto il molto tempo che ogni giorno spendiamo scorrendo il dito sullo schermo del nostro smartphone. Ma è importante sottolineare come i social e tutto ciò che riguarda il web (edizioni online e app comprese) non abbiano sancito – quantomeno per il momento – la morte dell’informazione sui media tradizionali. Nonostante dirette live e stories su Facebook e Instagram (a proposito, a riguardo del social network fotografico sarebbe interessante raccontare il ruolo sempre più importante che sta assumendo nel mondo giornalistico), leggiamo infatti ancora i giornali, ascoltiamo la radio e guardiamo la televisione. Insomma, forse i media tradizionali staranno assumendo un ruolo diverso nel panorama comunicativo, ma certamente non sono morti e hanno ancora molto da dire. 
Per questo motivo sono ancora da considerare in quella che potremmo definire dieta dell’informazione, ossia il nostro modo quotidiano di apprendere le notizie. Ovviamente non esiste una dieta universale valida per tutti: ognuno definirà la sua in base ai suoi interessi. Quello che deve essere un punto di partenza consigliabile è però cercare di apprendere da più fonti possibili. Personalmente cerco di integrare l’informazione online con l’informazione offline.

INFORMAZIONE ONLINE
L’app dell’ANSA è un’ottima fonte per avere un panorama a 360° delle ultime notizie, grazie a un mix fra lanci d’agenzia, gallery fotografiche e brevi tg di un minuto (mediamente tre volte al giorno). 
Immediatezza delle notizie garantita anche da Twitter, che permette non solo di avere una rassegna stampa live (ovviamente in base ai following) ma anche di suddividerla per categorie grazie alle liste. 
In questo senso un ottimo strumento possono indubbiamente essere gli alert di Google, in grado di raccogliere tutti gli articoli relativi a un determinato argomento, con una raccolta di notizie direttamente al proprio account. E qui c’è da sottolineare un punto di forza di questo strumento: avere la possibilità di confrontare la stessa notizia tramite fonti e approfondimenti diversi. Ah beh, ovviamente non abusatene, se non volete avere un’invasione di mail! 
A completare gli strumenti online, anche gli Instant Articles di Facebook, una funzione in grado di caricare gli articoli delle più importanti testate internazionali tramite il social di Zuckerberg senza passare dal browser. Insomma, tramite essi è possibile fruire degli articoli di alcune testate editoriali direttamente dalla App Mobile di Facebook. Uno strumento che ha spinto ancora di più Facebook verso la sua progressiva trasformazione in piattaforma editoriale (e qui si aprirebbe un discorso interessante come le dirette live in stile diretta televisiva). 



INFORMAZIONE OFFLINE
Ma passiamo ora all’informazione offline. Qui il discorso cambia, perché più che parlare di strumenti, si parla di linee editoriali che sono una scelta puramente soggettiva. Quindi non si può dire altro se non consigliare di leggere un quotidiano o un periodico cartaceo. Voi direte, ma la stessa informazione su carta o su web è la stessa cosa! E invece non esattamente. Il web ha portato a una velocità delle notizie tale che esse sono in costante aggiornamento, diventando paradossalmente quasi subito vecchie. Questa è la logica dell’online, alla quale si contrappone quella tradizionale dell’offline, dove la notizia si sta trasformando sempre più in un contenuto di approfondimento, che quasi dà per scontati i semplici fatti, ormai tendenzialmente appresi sul web. Per questo leggere quotidiani e periodici ci permette di conoscere una notizia già appresa dai social con sfumature diverse, con un taglio più analitico. 
Infine, i telegiornali. La televisione ha ancora un ruolo importante, sposta opinioni, crea tendenze, è la base di quei format che oggi abitano il web. È tutto tranne che morta. E sì, il telegiornale rappresenta la miglior sintesi dell’informazione e dell’informare. Personalmente ritengo TG La7 e SkyTG24 i più completi e imparziali, ma ognuno potrà farsi la sua idea. Senza dimenticare la radio, altro universo mediale tutt’altro che finito e che merita sempre il suo spazio (almeno in macchina resiste ancora!). 




Queste, in sostanza, le basi per una informazione abbastanza completa. Dico abbastanza perché quella perfetta non esiste, ci vorrebbero confronti e approfondimenti che con la velocità della comunicazione odierna sarebbero impossibili da raggiungere. Ma chissà che un giorno non ci arriveremo. 

martedì 4 luglio 2017

#ColdplayMilan - "No phones please, just me and you!"







"Vivilo questo momento. Il ricordo verrà poi da sè"

Luci, colori, musica, sudore, gioia e urla si mischiano, nella prima delle due notti dei Coldplay a Milano. Le note di A Head Full of Dreams, Yellow e The Scientist corrono alte fra i 58mila di San Siro, i cui braccialetti illuminano la Scala del calcio per una coreografia a dir poco perfetta e totalmente avvolgente.

Chris Martin corre su e giù da quel palco, adrenalinico sulle ali della sua musica. Pensi alla botta che deve trasmetterti esibirti davanti a così tante persone in festa, parte di un mare di colore e musica. 

Luci e colori che cambiano col susseguirsi delle canzoni, fino a Charlie Brown, una delle prima canzoni a trasmetterti, fin dal primo momento in cui l'hai ascoltata nella tua vita, una certo senso di allegria. 

Chris comincia a suonare, quasi a dare la rincorsa alla canzone. I braccialetti al polso iniziano a prendere vita, le urla di gioia cominciano a levarsi in alto. 

"Stop, stop, stop!", urla Chris, che interrompe subito dopo i pochi istanti di silenzio dell'intero stadio: 

"Please, no phones, no photos, no videos. Just me and you, enjoy this moment!"

II mare di colore rimette in tasca i suoi cellulari, le luci degli schermi si spengono lasciando la scena alla piena emozione di vivere quegli istanti senza pensare a immortalarli. Il silenzio si trasforma in un'esplosione di gioia  e balli mista alle note e alle parole di Charlie Brown. 

Scegliere una canzone dei Coldplay per sintetizzare un loro concerto live è cosa impossibile. Ognuna ti parla in maniera diversa, a volte per dirti semplicemente la stessa cosa. Ma per raccontare una delle tante emozioni può bastare poco. 


Light a fire, light a spark
Light a fire, a flame in my heart

We'll run wild oh

We'll be glowing in the dark




domenica 4 giugno 2017

CARA JUVE, IT'S NOT TIME AGAIN

"VINCERE NON È IMPORTANTE, È L'UNICA COSA CHE CONTA" [cit.]

Così recita il motto nel colletto delle maglie della Juventus, slogan ripreso da una celebre frase pronunciata da Gianpiero Boniperti, Presidente onorario della società bianconera. Uno slogan che è diventato in qualche modo una sorta di DNA per gli juventini, padroni indiscussi del campionato italiano da sei anni, nei quali nessuno è riuscito a mettere in discussione l'egemonia bianconera. E alla Juventus, a onor del vero, di questo va dato merito, senza se e senza ma.

Slogan che però, allo stesso tempo, è diventato una maledizione per Agnelli & Co. Inutile nascondersi dietro a un dito: il vero obiettivo stagionale era la vittoria della Champions League e i successi in campionato e Coppa Italia non possono essere che un palliativo per nascondere una delusione che definire cocente è dire poco. Vincere è l'unica cosa che conta e quando perdi 4 a 1 non puoi rimangiarti quelle parole. Il DNA della Juve è un'arma a doppio taglio, un boomerang che è tornato indietro, anzi, che sta tornando indietro da ormai 5 finali consecutive, con 7 sconfitte su 9 giocate. Statistiche impietose che le dichiarazioni di "orgoglio per questa squadra" pronunciate da Allegri e Agnelli non possono cancellare.




OSSESSIONE TRIPLETE

Quello che è mancato alla Juventus per la vittoria di questa Champions è stata l'umiltà. Così come nella finale di Berlino di due anni fa persa, per 3 a 1, contro il Barcellona. Allora lo slogan fu #finoallafine, quest'anno l'hashtag lanciato è stato #itstime. Slogan espressione di campagne di comunicazione vincenti fra i tifosi che però non hanno trovato poi vera realizzazione in campo. Ed evidentemente il Real Madrid dell'ex Zidane non era propriamente d'accordo con la profezia bianconera, più deciso a diventare la prima squadra a vincere la Champions per due anni consecutivi che lasciare ai bianconeri l'onore di entrare nel ristretto club del Triplete.

Già, quel Triplete che i bianconeri sentivano già in tasca - come due anni fa - senza fare i conti però con il resto del mondo. Umiltà che nel DNA bianconero non può evidentemente trovare posto, troppo denso dell'ossessione Calciopoli e di quei "35 Scudetti sul campo" che certificano, ancora una volta, la presunzione di una società irrispettosa delle sentenze e della giustizia sportiva, oltre che incapace di ammettere e riconoscere le proprie pesanti colpe. Presunzione incarnata dalla famiglia Agnelli-Elkann, sempre pronta a sottolineare come gli altri non sappiano perdere, salvo poi perdere finali su finali.

Inutile ricordare l'Inter del Triplete, vinto grazie ad un profondo bagno di umiltà, lavoro e soprattutto silenzio. A riscatto di lunghe e pesanti ingiustizie sportive, per buona parte rimaste impunite. Ma questo è un altro discorso, un'altra storia che è troppo bella per essere mischiata a questa.


Photo Credit: Gazzetta.it


TRAGEDIA SFIORATA IN PIAZZA SAN CARLO A TORINO

In questo giorno post Champions, però, le riflessioni sportive e la goliardia da tifosi non possono ignorare e dimenticare la tragedia sfiorata ieri sera a Torino in Piazza San Carlo, con più di 1500 tifosi bianconeri rimasti feriti in un fuggi fuggi generale causato dalla paura per il boato di una transenna caduta nelle trombe delle scale di un parcheggio sotterraneo, misto al probabile scoppio di un petardo che ha generato una psicosi bomba facilmente immaginabile in questo periodo storico di attentati terroristici (l'ultimo proprio ieri sera a Londra). Situazione aggravata dalle molte bottiglie di vetro sparse a terra, andate in frantumi a causa della calca creatasi e che hanno portato le persone cadute a terra e travolte a ferirsi. Viene da chiedersi come sia stato possibile che dei venditori ambulanti siano riusciti a vendere bottiglie di birra quando le forze dell'ordine controllavano addirittura i tappi delle bottigliette d'acqua dei presenti. Ma soprattutto, fa pensare come dal nulla si possa generare una psicosi simile. Qui comunque qualche notizia in più sulla situazione a Torino.

LA MASCHERA DELLA SPORTIVITÀ

Infine, un breve pensiero su chi accusa i cosiddetti "gufi" di non essere sportivi. Sarebbe ora di sfatare questo mito della sportività quando si giocano le competizioni europee: gufare la Juve, il Milan e l'Inter non è anti-sportività, è semplicemente rivalità fra tifosi, generata non a caso da quella fra le tre società. Come tra l'altro hanno fatto gli juventini nel 2010 con l'Inter e nel 2005 con il Milan. Tutti noi, poi, saremo ben lieti di tifare Roma, Lazio, Napoli, Atalanta e tutte le squadre che giocheranno in Europa.

Nel frattempo ci si gode questa ennesima - e meritata - sconfitta della Juve in Champions. Sempre nel profondo e rispettoso spirito goliardico fra tifosi. Lo dicono anche gli Autogol, dai!



#itsNOTtime
#finoalconfine
#amala

lunedì 29 maggio 2017

GRAZIE FRANCÈ, ULTIMO DI POCHI ROMANTICI COL PALLONE FRA I PIEDI

Francesco Totti è sempre stato uno di quei pochi calciatori che ho sempre cercato di comprare al Fantacalcio. Forse per avere la scusa di guardarlo giocare e godere di più ad ogni sua giocata, fosse essa un assist, un gol, un colpo di tacco.


Photo Credit: Il Messaggero

Da tifoso interista ricordo un gol in particolare di Totti. Era il 26 ottobre 2005 e l'Inter ospitava la Roma di Spalletti a San Siro. È il 28' del primo tempo e l'Inter sta perdendo per 1 a 0, gol di Vincenzo Montella al 12'. I nerazzurri attaccano per pareggiare i conti ma perdono palla a metà campo. Totti prende palla, supera Cambiasso, resiste a una scivolata di Ze Maria e si invola verso la porta. Materazzi esce dalla linea difensiva per andargli incontro, ma conosce troppo bene il 10 della Roma per non sapere che molto probabilmente verrà superato. Allora temporeggia, cercando di coprirgli lo specchio della porta. Totti è al limite dell'area, si sposta la palla di esterno destro e guarda Julio Cesar. È leggermente fuori dai pali. Inutile che continui a spiegare come andò a finire quell'azione.




Photo Credit: C'era una volta il calcio
Di pallonetti in carriera Totti ne ha segnati tanti, ma quando a subire un gol del genere è la tua squadra e tu ti alzi in piedi ad applaudire - anche se sei parecchio incazzato - si spiega da sé chi è stato Francesco Totti per il calcio. Estro, classe, genialità, tecnica, fantasia. Ma anche cuore e passione. Sì, perché indossare la stessa maglia per più di 25 anni rinunciando a vincere molti più trofei altrove è qualcosa che non vedremo forse mai più.



Già, con Francesco Totti si chiude una generazione di bandiere. Una generazione di giocatori innamorati di una maglia a qualsiasi costo, nel bene e nel male. Prima di lui Maldini, Del Piero, e Zanetti l'hanno preceduto sulla strada degli addii eccelsi, facendo capire a chi ha goduto delle loro giocate quanto fosse bello guardare le partite di calcio e sognare, anche da grandi, di giocare a imitarle - anche se solo su un campetto da calcetto. 



Alle lacrime di Totti di ieri, di fronte a un Olimpico strapieno, non si sono unite solo quelle dei tifosi giallorossi, che di Francesco hanno fatto l'ottavo Re di Roma. Ieri, di fronte a quelle parole interrotte dalla commozione di un quarantenne che mette da parte il suo giocattolo preferito - il pallone, a piangere sono stati i tifosi di qualsiasi colore. Gli amanti del calcio.


Photo Credit: Repubblica.it
Ed è proprio quando un giocatore così lascia e saluta che ti rendi davvero conto di essere cresciuto guardando alla televisione la generazione di Totti, Baggio, Del Piero, Ronaldo, Zanetti, Maldini, Cannavaro, Nesta, Vieri, Inzaghi e ci fermiamo qui ché la lista è lunga. Leggi i loro nomi e li senti come se fossero stati gli amici che ti hanno accompagnato ogni volta che guardavi o toccavi un pallone. Quei giocatori che ti hanno fatto esultare, piangere e incazzare, facendoti amare e odiare, allo stesso tempo, il calcio. 


Qualcosa che oggi questo sport non riesce più a trasmettere come prima. O forse è solo che sono troppo affezionato a quella generazione di campioni. Una generazione che ha ammainato la sua ultima bandiera ieri, in un fiume dove ogni lacrima ricordava e celebrava un gol, un assist, un colpo di tacco, un cucchiaio. 

Photo Credit: La Mescolanza

Grazie Francé, ultimo di pochi romantici col pallone fra i piedi. 


sabato 22 aprile 2017

I 150 ANNI DE LA STAMPA IN UN DOCUMENTARIO E OTTO ARTICOLI


L'assassinio di Falcone, l'idea di socialismo e democrazia di Michail Gorbaciov, il viaggio di Domenico Quirico su una barca insieme a un centinaio di disperati in fuga dalla Tunisia. Ma anche la figura di Gheddafi, il pensiero di Norberto Bobbio sulla guerra "giusta" del Golfo, il ruolo della Democrazia Cristiana nella politica italiana, il ricordo di Primo Levi della vigilia della Seconda Guerra Mondiale e l'Oscar vinto da Benigni con La Vita è Bella nel marzo del 1999. 

Otto articoli che La Stampa, quotidiano di Torino fondato nel 1867, ha scelto per celebrare i suoi 150 anni, raccogliendoli nel documentario 150 ANNI LA STAMPA - Il futuro è quotidiano, andato in onda mercoledì 19 aprile su Sky Arteraccontando un giornalismo a 360° che ha visto la collaborazione di importanti personaggi che hanno fatto la storia politica e culturale, non solo del nostro Paese. Otto articoli di otto grandi firme che potete trovare e leggere qui

Articoli reinterpretati da importanti personaggi nostrani del mondo dello spettacolo, da Giacomo Poretti e Teresa Mannino ad Alessandro Preziosi e Giuseppe Cederna, da Lunetta Savino e Fabio Troiano a Marco Paolini e Neri Marcorè. Pezzi usciti sulle edizioni cartacee de La Stampa in questi 150 anni e dai quali trasuda pathos, storia e giornalismo, per otto articoli da leggere tutti d'un fiato, in una sorta di edizione speciale del quotidiano torinese.


mercoledì 19 aprile 2017

"NOVE GIORNI AL CAIRO", LA WEBSERIE DI REPUBBLICA SU GIULIO REGENI




3 febbraio 2016: il corpo di un giovane dottorando italiano viene ritrovato senza vita lungo l'autostrada Cairo-Alessandria, in Egitto. La notizia suscita subito molto clamore in Italia, non solo per la nazionalità del giovane, quanto per le dinamiche poco chiare circa ciò che gli era accaduto: le condizioni del corpo fanno pensare infatti a un'ipotesi di tortura prolungata - con traumi alla testa, al busto e agli arti - prima di una morte lenta arrivata, dalle successive ricostruzioni, quasi una settimana dopo. 

È questo l'inizio del racconto della morte di Giulio Regeni che tutti abbiamo più o meno sentito ormai più di un anno fa al telegiornale, leggendo poi sprazzi di altri dettagli sui giornali, fra le smentite delle autorità politiche egiziane e una verità che ancora non è stata pienamente portata alla luce. 

Il nome di Giulio ci porta probabilmente alla mente uno striscione che avrete visto appeso sui balconi delle sedi istituzionali nostrane o in televisione in occasione di qualche marcia in suo onore. Uno striscione che recita VERITÀ PER GIULIO REGENI e che rischia di rimanere un grido nel vuoto, fra tensioni diplomatiche sull'asse Roma-Cairo, depistaggi e menzogne da parte dell'Egitto. 

Un grido che però La Repubblica non ha voluto lasciare che si strozzasse nel dimenticatoio delle morti che non fanno più notizia e archiviate dal trascorrere del tempo. Il quotidiano diretto da Mario Calabresi ha deciso infatti di mettere insieme gli eventi per continuare a dare voce a Giulio e scoprire cosa gli è veramente accaduto. Ma soprattutto per attribuire delle responsabilità che, senza troppi dubbi, sono da attribuire ai servizi segreti e al regime egiziano di Al-Sisi. 

"NOVE GIORNI AL CAIRO - Tortura e omicidio di Giulio Regeni" è la webserie prodotta da La Repubblica, in collaborazione con 42° Parallelo, che rappresenta questo sforzo di ricerca della verità attraverso un'inchiesta giornalistica portata avanti dai giornalisti Carlo Bonini e Giuliano Foschini e presentata al Festival del Giornalismo di Perugia lo scorso 8 aprile. Cinque episodi nei quali si ripercorrono le tappe della tragica vicenda di Giulio, dal ritrovamento del suo corpo alle evidenti responsabilità egiziane, passando per la tortura e il silenzio di chi Giulio in Egitto ce l'ha mandato, ossia l'Università di Cambridge. 




Una serie da non perdere, per non lasciar cadere nel dimenticatoio una verità che merita di essere rivelata. Sul canale YouTube di Repubblica tutti gli episodi

VERITÀ PER GIULIO REGENI. 

sabato 8 aprile 2017

UNA GUERRA MONDIALE A PEZZI DELLA QUALE NON CI STIAMO RENDENDO CONTO

"Siamo di fronte a un nuovo conflitto globale, ma a pezzetti. Nel mondo c'è un livello di crudeltà spaventosa, la tortura è diventata ordinaria. Sì, un aggressore 'ingiusto' deve essere fermato, ma senza bombardare o fare la guerra". 

Così si pronunciava Papa Francesco il 18 agosto 2014, di ritorno dal suo viaggio apostolico in Corea del Sud. Parole che, a quasi tre anni di distanza, sono purtroppo di particolare attualità. In poco più di due settimane infatti ci siamo trovati di fronte a tre attentati terroristici e a un'escalation della crisi internazionale fra Russia, Stati Uniti e Medio Oriente. 



Il 22 marzo l'attentato a Londra nei pressi di Westminster, con un'auto lanciata sulla folla davanti al Parlamento britannico: numerosi feriti e quattro morti, saliti ieri a cinque. 

[Per saperne di più: 
http://www.ilpost.it/2017/03/22/spari-westminster-londra-parlamento/]

Lunedì 3 aprile, un ordigno è esploso in un vagone della metropolitana a San Pietroburgo, causando 14 morti e decine di feriti. 

[Per saperne di più: 
http://www.repubblica.it/esteri/2017/04/04/news/attentato_a_san_pietroburgo_il_responsabile_e_un_kamikaze_kirghiso-162145041/ ]

Ieri, venerdì 7 aprile, un camion si è lanciato sempre sulla folla nel centro di Stoccolma, causando, al momento, quattro morti e una decina di feriti. 

[Per saperne di più: 
http://www.repubblica.it/esteri/2017/04/08/news/stoccolma_attentato-162472501/]

Tre attentati terroristici di natura islamica che ci devono fare inevitabilmente interrogare sulle misure da adottare in termini di sicurezza interna e anche globale. A partire dalle condizioni di accoglienza degli immigrati: se da un lato l'accoglienza è un fattore umano, dall'altro essa non deve essere improvvisata, ingenua e "buonista". 

Nel mezzo l'attacco chimico di martedì scorso, 4 aprile, nella provincia siriana di Idlib, probabilmente compiuto dal regime di Assad e che ha visto morire almeno 80 persone, la maggior parte delle quali civili e molti bambini. 

[Per saperne di più: http://www.ilpost.it/2017/04/05/attacco-chimico-siria-assad-spiegato/] 

Attacco che ha poi portato al bombardamento da parte degli Stati Uniti della base aerea dei raid chimici, colpita con 59 missili provocando la reazione della Russia, con la fregata russa diretta verso le navi USA nel Mediterraneo. 

[Per saperne di più: 
http://www.repubblica.it/esteri/2017/04/07/news/siria_usa_lanciano_attacco_contro_base_aerea_oltre_50_missili-162376837/ 

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/04/07/siria-nave-da-guerra-russa-verso-i-due-cacciatorpedinieri-americani-che-hanno-lanciato-lattacco/3506849/ ] 

Un'escalation mondiale della quale non ci stiamo rendendo conto completamente se non a pezzetti, perdendo forse il senso della sua portato complessiva. L'Europa si trova di fronte a un'ondata di migrazioni della quale non sa gestire il flusso e che sta minando la sicurezza interna, tanto che ieri Stoccolma, a seguito dell'attentato, ha scelto di sospendere gli accordi di Schengen. In tutto questo la Gran Bretagna si trova di fronte all'uscita dall'Europa, con la quale dovrà contrattare gli accordi sulla sicurezza in base agli accordi commerciali. Gli Stati Uniti, con la Presidenza Trump, stanno facendo marcia indietro rispetto alla politica estera dell'amministrazione Obama, con un atteggiamento più spregiudicato che si è trasformato in queste ore in un braccio di ferro con la Russia, protettrice di una Siria continuamente contesa fra Arabia Saudita e Iran e internamente divisa dalla guerra fra Daesh, Governo e Esercito Libero Siriano. Senza dimenticare la Turchia di Erdogan. 


Il tutto mentre noi, cittadini europei, condividiamo hashtag di solidarietà sui social (curioso come ciò non sia accaduto per l'attentato in Russia) per poi tornare alla nostra routine. Abituandoci, colpevolmente, a tutto questo. 



mercoledì 4 gennaio 2017

UN SELFIE CON IL PAPA, IL DOCUMENTARIO DI RAI3


Domenica 1° gennaio è andato in onda, in prima serata su Rai3, il documentario "Un Selfie con Il Papa" (che potete guardare a questo link). Un documentario realizzato dal regista Michele Truglio, che ho avuto il piacere di intervistare per il periodico Il Regno e che mi ha raccontato di un progetto inedito il cui obiettivo era quello di conoscere Papa Francesco da una prospettiva diversa. Una sorta di spostamento dell'obiettivo nel quale a fare da filtro su un personaggio rivoluzionario come Bergoglio sono gli occhi della gente. 


La gente comune, con le difficoltà della vita di tutti i giorni, con i sogni per il domani e la speranza del bene. Insomma, di tutto quello che proprio il Papa cerca di parlare nelle sue omelie a Santa Marta, nelle sue visite pastorali, nei suoi incontri occasionali e tramite le sue preghiere. 

Un documentario tutto da scoprire e che permette davvero di far sentire la vicinanza del Papa come "uno di noi", disposto com'è a scambiare una parola, a baciare e benedire un bambino, a regalare una carezza e un sorriso. E perché no, anche a concedere un selfie. 

Buona visione!