mercoledì 13 gennaio 2016

PORDENONE, CITTÀ DELL'ACCOGLIENZA. INTERVISTA AL PREFETTO LAGANÀ

È di stretta attualità l'intenzione del Presidente del Consiglio Matteo Renzi di eliminare il reato di clandestinità - approvato dal Governo Berlusconi nel 2009 - da lui definito "inutile" (qui l'intervista rilasciata al TG1). E relativamente alla questione "immigrazione" negli ultimi mesi si è discusso molto sulle misure da adottare per l'accoglienza delle migliaia di profughi che scappano dal Medio Oriente e dall'Africa, sia a livello locale e nazionale che a livello europeo. In realtà senza prendere chissà quali misure lasciandosi invece trasportare dall'emotività diretta faziosamente da chi i migranti li aiuterebbe a casa loro (chiedere a Matteo Salvini o all'Ungheria) o da chi al contrario è mosso da compassione e solidarietà. E di certo le vicende di Parigi dello scorso novembre non hanno aiutato molto nel prendere decisioni. 

Detto questo ritengo utile proporre qui di seguito l'intervista che il Prefetto di Pordenone, Maria Rosaria Laganà, mi ha gentilmente concesso per il numero di Eventi di dicembre, nel quale si è cercato di raccontare in cosa consiste l'immigrazione, come funziona l'accoglienza, da cosa scappano questi profughi ma soprattutto portare la testimonianza delle loro storie. Un'intervista nella quale si prova a capire e spiegare come le autorità e le istituzioni si muovono di fronte a tale emergenza. 

Il tema dell'immigrazione e dei profughi si intreccia inevitabilmente con quello della sicurezza e del terrorismo, soprattutto dopo i recenti attentati di Parigi, che hanno comportato un aumento dell'allerta in tutta Europa: quali sono le misure adottate nel nostro territorio?


Innanzitutto c'è ovviamente da dire che c'è stata un'allerta di carattere generale da parte del Ministero invitando i prefetti a definire la vigilanza per quanto riguarda gli obiettivi sensibili: il giorno successivo agli attentati di Parigi (avvenuti il 13 novembre, ndr) si è tenuta infatti una riunione del comitato per valutare la situazione. Ovviamente nel nostro territorio l'obiettivo sensibile è la base militare di Aviano, già di per sé un obiettivo a rischio. C'è poi il centro islamico, un centro moderato ma attentamente seguito, e in generale sono state alzate le misure di vigilanza su tutto il territorio. C'è inevitabilmente da parte delle forze dell'ordine e delle Prefetture una particolare attenzione a quello che è l'evolversi della situazione perché lo scenario è talmente mutevole e complesso – dato anche il Giubileo a Roma – da meritare la giusta attenzione. La realtà di Pordenone è diversa da quella di località a maggior rischio, come Roma appunto e Milano, con il Duomo e la Scala come obiettivi sensibili. Per fortuna non si notano nella nostra città fenomeni di insofferenza e sospetto nei confronti di queste presenze straniere e questo è importante per ciò che riguarda l'accoglienza e l'integrazione. E in questo senso ci teniamo a prevenire frizioni e problematiche al fine di armonizzare il più possibile la presenza degli stranieri con la giusta e necessaria attenzione alle esigenze delle collettività locali che li ospitano.  

Per quanto riguarda le ondate di profughi possiamo dire che sia un fenomeno per il quale è impossibile fare stime e previsioni precise. Qual è la situazione attuale di Pordenone, ad esempio in riferimento ai richiedenti asilo?

Leggendo i giornali sembra che sia un disastro ma in realtà non è così. In questo momento (19 novembre, ndr) Pordenone sta ospitando 530 richiedenti asilo, ossia quei soggetti per i quali è stata avviata una procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato e che sono in attesa di essere convocati dalla Commissione di Gorizia, ovvero essendo stata rigettata la prima istanza sono in attesa del pronunciamento da parte del Tribunale di Trieste. Per queste persone abbiamo deciso di seguire il principio dell'accoglienza diffusa: vengono distribuiti, per quanto possibile, sul territorio in piccoli gruppi e possiamo dire di esserci riusciti al 90%. La struttura più numerosa è l'hotel Antares di Piancavallo, la cui capienza permetterebbe di ospitare anche 200 persone ma volendo noi garantire una presenza il più possibile distribuita ci siamo fermati alla soglia di 70. Gli ultimi arrivi dalla rotta balcanica ci hanno fatto aumentare la presenza a 100 persone in attesa di distribuirli sul territorio.

Quali sono le misure attualmente previste per l'accoglienza?

Il Friuli e Pordenone nell'ultimo periodo hanno come priorità quella di accogliere i migranti provenienti dalla rotta balcanica - principalmente afghani, pakistani e iracheni – mentre prima c'era anche l'emergenza Mare Nostrum. A livello nazionale è stata decisa una ripartizione dei profughi in base a delle quote regionali e al Friuli spetta il 2,19% del totale, quota che naturalmente subisce l'effetto dei continui nuovi arrivi. E la nostra regione, data la sua posizione geografica, ha stabilmente un numero di arrivi tale da dover chiedere la redistribuzione in altre regioni: questo è avvenuto anche la settimana scorsa (metà novembre, ndr) quando circa 200 richiedenti asilo sono stati spostati in altre località, 10 dei quali da Pordenone verso Terni. In generale quindi tutte le province stanno affrontando questa situazione di emergenza coordinata dal Ministero dell'Interno. Secondo le stime di questa estate dovremmo raggiungere una quota di 650 richiedenti asilo: all'inizio dell'estate eravamo a 220 mentre ora siamo già a 530.

Quali sono le strutture a disposizione? Sono sufficienti per la prima accoglienza?

Non è una ricerca facile quella delle strutture – nonostante il principio dell'accoglienza diffusa che di fatto garantisce una collaborazione fra lo Stato e le amministrazioni locali - perché i Comuni quasi mai riescono a proporre delle soluzioni tramite strutture proprie. L'ideale sarebbe una situazione nella quale le Prefetture si interfacciano con i Comuni che gestiscono l'accoglienza con le proprie strutture ovviamente con i costi a carico dello Stato. Ciò è difficile da realizzare e quindi la ricerca avviene tramite strutture private, che possono essere gli appartamenti, gli alberghi e i B&B non più utilizzati come tali. Ovviamente veniamo ad interagire anche con delle cooperative – abbiamo fatto un bando proprio quest'estate – per gestire quest'accoglienza integrata, come prevede la normativa, che parla non solo di vitto e alloggio ma anche di accompagnamento legale, assistenza sanitaria e apprendimento della lingua. In generale, dati anche purtroppo i tempi lunghi per concludere l'iter, si cerca di garantire un inserimento – anche attraverso la mediazione linguistica – nella comunità che accoglie queste persone, quasi tutte con un'età inferiore ai 30 anni. Le strutture a disposizione sono circa 25, distribuite su tutto il territorio provinciale - da Pordenone a Maniago, fino a Sacile, Aviano, Fanna, Cavasso, Tramonti di Sopra e Pravisdomini – e in aumento di giorno in giorno. Sicuramente stiamo lavorando per creare una serie di soluzioni che evitino situazioni di emergenza come quella che si era creata al parco San Valentino e che devo dire è stata risolta adeguatamente grazie anche all'intervento del Comune e del Sindaco Pedrotti, con i quali c'è un'ottima collaborazione: l'aver sistemato in questo periodo 530 profughi lo testimonia.

Per quanto riguarda Pordenone si è parlato ultimamente di un tramonto del capannone in Comina e invece della sede dell'Acli di Cordenons come di una possibile opzione per l'accoglienza.

Fino a poco tempo fa i profughi arrivavano a Gorizia e a Trieste e ci venivano mandati per alleggerire e distribuire meglio l'accoglienza. Aumentando il flusso ne risente anche Pordenone e la tendopoli del San Valentino ne è il risultato: se arrivano due profughi si può trovare una sistemazione, se ne arrivano dieci in una volta la cosa è più difficile. Per questo motivo si sta cercando una struttura in grado di aumentare nell'immediatezza la capacità di accoglienza e sistemazione di queste persone. Erano stati individuati quindi due capannoni: quello della Comina e appunto la struttura di Cordenons. Quello della Comina purtroppo presenta delle problematiche dovute sia alla sua collocazione – si trova all'interno di un complesso industriale e quindi in contiguità con altri spazi – sia per questioni di sicurezza, ma non è un'ipotesi abbandonata definitivamente. Per quanto riguarda la struttura di Cordenons c'è invece una valutazione che definirei a buon punto. La collaborazione con le cooperative ci ha portato a vagliare anche altre possibilità sul territorio della provincia: ovviamente c'è bisogno di tempo perché bisogna anche individuare chi poi deve gestire l'accoglienza in queste strutture.

Per quanto riguarda invece l'hub alla Caserma Monti?

Anche in questo caso c'è un iter in corso, tra l'altro non facile perché dovendo intervenire su un manufatto vecchio è forse più complicato che non rifarlo nuovo, ma questa è la situazione. In questi giorni (19 novembre, ndr) si stanno completando gli atti per poi indire il bando di gara da parte della Protezione Civile per l'affidamento dei lavori. Ci sono questioni da risolvere relative essenzialmente alla struttura in sé, come le condotte idriche e fognarie, ma siamo in dirittura d'arrivo: per dicembre si dovrebbe conoscere la ditta alla quale saranno affidati i lavori che dovrebbero durare almeno tre mesi e quindi l'inverno dovremo affrontarlo purtroppo senza la Monti.

Quali sono i rapporti di collaborazione con le associazioni di immigrati che si occupano di immigrazione?

Ci sono numerose comunità con le quali la Prefettura si interfaccia quotidianamente sia per quanto riguarda gli aspetti legati alla cittadinanza sia per quanto riguarda le procedure di inserimento lavorativo. Ci sono poi una serie di associazioni di tipo solidaristico – sia di cittadini stranieri che di cittadini italiani – che si occupano di ciò che riguarda il supporto ai migranti e devo dire che ormai si è creata una sorta di sinergia fra questi soggetti e la Prefettura, sia con l'Ufficio cittadinanza sia con l'Ufficio stranieri. I rapporti con queste associazioni sono quindi positivi, se pensiamo poi soprattutto alle ultime ondate di richiedenti asilo.

A proposito di integrazione: passando nello specifico al nostro territorio, quali sono le comunità straniere più numerose?

Le comunità straniere non comunitarie sono nell'ordine quella albanese con quasi 5000 componenti, poi quella ghanese con 2300, quella indiana con 1394, quella ucraina con 1271, quella moldava con 817, quella del Bangladesh con 717 e infine quelle macedoni e cinesi che sono le più piccole. Per quanto riguarda invece i comunitari i più numerosi sono i cittadini rumeni. Possiamo certamente dire che Pordenone è una città con una grande tradizione di integrazione e nonostante una popolazione straniera molto elevata la comunità pordenonese è sempre stata molto accogliente.

Quali sono i tempi attuali di conferimento della cittadinanza italiana?

Sicuramente per quanto riguarda la cittadinanza – sia in caso di residenza ininterrotta per dieci anni in Italia, sia in caso di matrimonio con cittadino italiano - i tempi non sono brevi anche se rispetto al passato la situazione è migliorata molto: la legge prevede 730 giorni per la conclusione del procedimento. Per quanto riguarda la concessione della cittadinanza per matrimonio abbiamo una tempistica di 18 mesi in media, mentre per quanto riguarda la cittadinanza per la maturazione della residenza i tempi sono un po' più lunghi e si aggirano attorno ai 3 anni.

In caso di regolamentazione dell'acquisizione della cittadinanza tramite ius soli (proposta di legge approvata alla Camera e in discussione al Senato), cosa cambierà rispetto all'attuale legge (n.° 91, 5 febbraio 1992) basato invece sullo ius sanguinis?

In caso di regolamentazione in base allo ius soli per chi è nato in Italia ci sarebbe presumibilmente un'accelerazione nelle tempistiche che favorirebbe anche il processo di integrazione e quindi il sentirsi parte integrante di una comunità al di là del semplice essere destinatari di diritti e doveri. Gli attuali tempi – necessari ad una verifica dei requisiti del richiedente la cittadinanza - sicuramente non favoriscono invece questo aspetto perché oggettivamente tre anni sono tanti. Lo ius soli permetterebbe accertamenti più semplici accorciando i tempi – ricordiamo che la normativa parla di ius soli temperato nel senso che almeno uno dei genitori deve essere in possesso di regolare permesso di soggiorno – ma c'è anche un aspetto più culturale relativo ad un naturale processo di integrazione sociale e anche ad una regolare frequentazione scolastica. E infatti in questo senso si parla di ius culturae. Infine ritengo che ci sarebbe così anche la possibilità di dare una risposta immediata a quelle generazioni di persone nate in Italia - che obiettivamente mal comprenderebbero tempistiche attualmente così lunghe – magari aiutandole in questo modo anche ad inserirsi nel mondo del lavoro integrandosi così perfettamente.

ARTICOLO PUBBLICATO NEL NUMERO DI DICEMBRE DELLA RIVISTA EVENTI