domenica 15 marzo 2015

POPULISMO E DEMOCRAZIA

Il populismo fra due continenti. Dall’Italia all’America Latina. Questo il titolo della conferenza tenutasi venerdì 27 febbraio presso la Sala Consiglio Provinciale di Pordenone in occasione del quarto incontro del XIX corso di geopolitica organizzato da Historia.
L’analisi relativa al tema del populismo è stata compiuta dal prof. Marco Tarchi dell’Università di Firenze e dal prof. Eric Dubesset dell’Università di Bordeaux. Il primo, direttore delle riviste Diorama, Letterario e Trasgressioni, si è concentrato sull’analisi della situazione italiana, con particolare riferimento al fenomeno Movimento 5 Stelle, mentre il secondo si è occupato dei fenomeni populisti in America Latina.
Tarchi ha innanzitutto sottolineato come manchi una definizione chiara e di unanime accordo del concetto di populismo, un argomento fortemente discusso all’interno dell’opinione pubblica e in forte diffusione attraverso i mass media. Al populismo vengono associati diversi termini e concetti come popolo, nazione, economia e mercato, in quanto esso è un fenomeno che interessa diverse aree, dalla politica fino all’economia e che si sta espandendo particolarmente in Europa, dove il populismo non è riferibile esclusivamente all’estrema destra: esso è infatti un fenomeno che sta attraversando largamente l’orizzonte politico, come testimoniano Syriza in Grecia e Podemos in Spagna.
Per quanto riguarda il caso italiano il fenomeno Grillo rappresenta una forma di populismo che travalica il binomio destra/sinistra e che si presenta allo stato puro, rappresentando cioè un populismo slegato da ideologie politiche che si identifica perfettamente con il leader ma non con il movimento politico. Infatti l’elettorato ha poco a che vedere con le attività del M5S, movimento nel quale il leader Beppe Grillo rappresenta completamente l’immagine nell’opinione pubblica: l’elettorato di tale movimento è infatti identificabile con una sorta di sinistra 2.0 che ha trovato nel comico genovese una voce, un megafono. Questa è anche la causa del declino del M5S: dopo il grande successo avuto alle elezioni politiche infatti numerosi sono stati i casi di “epurazione” all’interno del movimento e progressiva è stata la perdita della presa emotiva sull’opinione pubblica. Un’altra motivazione potrebbe essere la forte di leadership di Matteo Renzi, il quale ha occupato ogni vuoto politico non lasciando spazio ai grillini, che avevano avuto successo a Parma e a Livorno proprio occupando un vuoto politico. 

Il M5S attraverso Grillo aveva ottenuto successo attraverso un populismo che conquista consensi in quanto canale preferenziale per esprimere il senso di delusione dell’opinione pubblica. L’altro canale è l’astensionismo, che rappresenta una forma di deficit partecipativo alla vita politica da parte dei cittadini: in questo senso il populismo difficilmente è in grado di frenare tale fenomeno, tanto che non ci sono riusciti né Grillo in Italia nè Tsipras in Grecia, come non ci riuscirà Salvini in futuro. L’astensionismo è così una forma di protesta passiva, una sorta di disincanto politico che impedirà al leader populista di conquistare il pieno successo politico.
Su cosa fa leva il populismo? Innanzitutto su forti connotazioni emotive e poche ideologiche, tanto che lo si può definire uno stile politico paragonabile ad una forma contemporanea di demagogia, oggi utilizzata anche dai leader populisti grazie al marketing politico. Il populismo è quindi una mentalità che influenza uno stile andando però oltre, dando un senso ad un contesto in cui si vive in base ad un approccio emotivo e psicologico. Ma soprattutto il populismo detesta le forme di mediazione politica, come testimonia l’avversità di Grillo e del M5S verso le trasmissioni televisive (alle quali raramente i grillini partecipano o concedono interviste) cercando di creare canali di informazione propri in grado di smascherare l’agenda setting dei media tradizionali.
Il populismo è una realtà liquida che muta velocemente e che influenza notevolmente la democrazia. Tarchi sottolinea come in Italia “il populismo sia una componente fisiologica del sistema politico e culturale della quale bisognerebbe prendere maggiormente coscienza”, ed automatico è il riferimento al Presidente del Consiglio Matteo Renzi, definito un uomo di marketing che utilizza argomenti e parole tipiche del populismo per andare poi contro i populisti.
Il discorso si sposta poi sull’America Latina, della quale il prof. Dubesset traccia un’analisi storica. Innanzitutto si sottolinea come in Sudamerica il termine populismo non venga considerato per forza in maniera negativa, in quanto esso è un fenomeno che fa parte della storia e della cultura dei Paesi latinoamericani e per questo Dubesset parla del populismo sotto tre aspetti: come si caratterizza il populismo, perché e come è proliferato in Sudamerica e infine tale fenomeno come processo di integrazione. 

Da sinistra a destra: Marco Tarchi, Eric Debusset,
Guglielmo Cevolin

Per quanto riguarda il primo punto vengono elencate le tappe storiche della crescita del fenomeno populismo: un populismo riformista negli anni ’20, caratterizzato da un’organizzazione verticale con un partito egemonico concentrato sul promettere riforme sociali, sull’esercitare direttamente il potere e dare spazio al clientelismo e con l’obiettivo di progettare un’identità collettiva in grado di rendere partecipativa la massa; un populismo sviluppista fra il 1950 e il 1960, con una funzione paternalista dello Stato incentrata sul protezionismo al fine di vendere i prodotti industriali nazionali; un populismo neoliberale (neopopulismo) dagli anni ’70 agli anni ’90, nel quale il leader populista si presenta come un outsider scagliandosi contro le istituzioni (attuando così una vera e propria forma di antipolitica); infine un populismo progressista che ha l’obiettivo di uno sviluppo economico contrastato però dalle disparità sociali: ecco che la difesa dei poveri diventa un argomento politico con conseguente orientamento a sinistra del fenomeno populismo, secondo il quale il leader vuole rompere la distanza fra gli elettori e i dirigenti politici per riunire attorno ad esso il popolo contro un nemico interno (vedi il caso di Chavez in Venezuela).
Per quanto riguarda invece il secondo punto di analisi Dubesset sottolinea come in America Latina il populismo sia un fenomeno strutturale, caratterizzato da opportunismo elettorale e adattabilità culturale: il populismo fa cioè parte della cultura politica e il leader populista è un personaggio carismatico e seduttore, che trova nell’ingiustizia e nell’insoddisfazione della popolazione un terreno di proliferazione populista. Il leader ha così l’ambizione di rinnovare la pratica politica, ma il populismo rappresenta in questo modo un sintomo di malgovernabilità politica ed economica che comporta un degrado democratico e una instabilità istituzionale.
Infine il terzo punto di analisi riguarda la relazione che sussiste tra populismo e regionalismo nel contesto dell’integrazione. Dubesset mette a confronto l’America Latina con l’Europa, evidenziando come ci siano convergenze quanto divergenze. In particolare mette in evidenza il differente approccio nei confronti dell’immigrazione: se in Europa essa è il bersaglio della politica populista (vedi ad esempio Front National e Lega Nord) con conseguente lettura negativa del processo di integrazione (considerato una minaccia per l’identità europea), in America Latina ciò non avviene, in quanto l’immigrazione è storicamente e culturalmente parte dell’area geopolitica. I leader populisti latinoamericani quindi non strumentalizzano politicamente il tema dell’immigrazione in quanto l’America Latina è una regione di immigrati e la cui storia politica è stata segnata dall’emancipazione, dall’anti-imperialismo e dall’autonomia politica delle colonie.
Infine viene dato dai due professori un rapido sguardo alla situazione del populismo negli Stati Uniti: esso è un fenomeno che ha fortemente contagiato la politica, in quanto vengono usati argomenti populisti per aver presa sull’opinione pubblica (vedi Obama).
In definitiva viene data una definizione indicativa di populismo come fenomeno a-classista nel quale il popolo è una realtà unica, segnato da svariate forme di opportunismo politico che vedono l’utilizzo di tematiche populiste di destra e di sinistra a fini politici ed elettorali.


mercoledì 11 marzo 2015

DEDICA: LUIS SEPÚLVEDA A PORDENONE

“È molto difficile trovare le parole per dire grazie a Pordenone per tutto quello che mi dà. Tuttavia, anche se la parola grazie mi sembra troppo piccola, mi faccio aiutare dall’eco delle montagne friulane per farla arrivare a tutti. Grazie amici di Pordenone. Da cuore a cuore”. 
Sepúlveda mentre scrive la dedica alla città di Pordenone
dopo aver ricevuto il sigillo

Così Luis Sepúlveda ha ringraziato la città di Pordenone e il sindaco Pedrotti per aver ricevuto oggi, mercoledì 11 marzo, il sigillo della città, del quale il primo cittadino ha sottolineato come le porte d’oro in esso raffigurate rappresentino un simbolo di libertà, di apertura e di accoglienza. Un ringraziamento, quello di Sepúlveda, scritto nero su bianco sul libro della città, sul quale solitamente viene scritto un pensiero da coloro i quali ricevono il sigillo di Pordenone. Sepúlveda si è anche detto fiero di essere ambasciatore di Dedica – che lo sta ospitando in questa settimana di eventi a lui dedicati - e di Pordenone, città piccola ma accogliente e calorosa: “Sono emozionato per l’affetto che Pordenone mi ha in questi giorni riservato. Le persone mi fermano per strada e mi danno il benvenuto nella loro città, mi stringono la mano, si fanno firmare un mio libro, mi invitano per un caffè”.
Sepúlveda in conferenza stampa 
La settimana di Dedica riservata all’autore sudamericano è cominciata sabato 7 marzo, quando nel pomeriggio si è tenuta la conferenza stampa di presentazione dell’evento presso l’Hotel Moderno. Durante la mezzora di conversazione con i giornalisti Sepúlveda ha avuto modo di essere interpellato principalmente su questioni politiche, partendo dall’ideologia di sinistra, definita “una forma di confrontarsi con il mondo e la società eticamente”, ma poco incline in questo momento storico ad essere tale. Sepúlveda elogia l’ex Presidente dell’Uruguay, José Mujica, ritenuto un esempio di etica e di morale di sinistra che purtroppo non è la regola ma l’eccezione. Elogia poi la Grecia di Tsipras, la prima a ribellarsi alla dittatura invisibile delle banche e delle istituzioni europee, senza dimenticare la Spagna e il movimento Podemos, ritenuto una possibile soluzione politica alla difficile situazione sociale spagnola, nella quale ad esempio il 56% dei giovani sono senza lavoro. Ha condannato il narcotraffico messicano e la corruzione della classe politica in Messico - caduta nelle mani dei narcotrafficanti – e definendo “orribile” l’uccisione dei 43 studenti messicani da parte dei narcos. C’è stato tempo e spazio anche per parlare dei flussi migratori dall’Africa e dal Medio Oriente verso l’Europa, definiti da Sepúlveda un dramma e non un problema, come invece vogliono spesso far credere i media per confondere la gente suscitando paura e pregiudizi nei confronti degli stranieri. Lo scrittore ha duramente condannato l’UE per la mancanza di una politica europea comune, ma anche la negligenza dell’Europa e degli USA nell’aver creato dei vuoti politici in Libia - facendo crollare il regime dittatoriale di Gheddafi - e in Siria, Paesi che erano in grado di contenere i flussi migratori.
La conferenza stampa ha però toccato anche il tema principale della letteratura, in particolare per quanto riguarda due opere importanti dell’autore cileno: La gabbianella e il gatto e L’altra morte del Che. Della prima Sepúlveda ha raccontato come essa sia nata con l’intento di scrivere una storia intelligente per bambini, mentre della seconda ha parlato del suo approccio emotivo, dell’amore misto alla nostalgia, del guardare al tempo passato con speranze e dolori e di un’ottica dell’umore sano e intelligente nel suo modo di scrivere.
Sepúlveda al Teatro Verdi
Il suo stile narrativo è stato poi l’argomento di conversazione con l’amico - e traduttore delle sue opere – Bruno Arpaia, presso il Teatro Verdi: Sepúlveda ha raccontato la sua vocazione letteraria, la scoperta della poesia - grazie ad un innamoramento adolescenziale – e in particolare la poesia di Neruda, la passione per il calcio e l’amore per la parola scritta. L’autore ha anche raccontato aneddoti della sua vita, dall’infanzia fino al rapporto complicato con la sua patria, il Cile, dal quale è stato esiliato dopo essere stato anche incarcerato per due anni e mezzo dal regime militare di Pinochet. Esilio che non ha esitato a definire “una terra strana e incognita, nella quale l’esiliato non ha niente e nessuno”. 

Di grande arricchimento è stata inoltre la proiezione multimediale del fotografo Daniel Mordzinski - grande amico di Sepúlveda - nella quale è stata raccontata la vita dello scrittore cileno attraverso la fotografia.

Pordenone ha così il piacere di ospitare in questi giorni un grande scrittore, letto in tutto il mondo da lettori delle età più diverse, perché i messaggi che Sepúlveda manda attraverso le sue opere sono diretti a tutti. E anche al Verdi non è stato banale: “La vita è un’esplosione costante”. Appunto.

giovedì 5 marzo 2015

UN WEEKEND OFFLINE

Venerdì 27 febbraio. Allo scoccare della mezzanotte ho il telefono in mano – anzi, lo smartphone, preciserebbe un nativo digitale – vado su Impostazioni, spengo il 3G e disattivo il wifi. Spengo lo smartphone, spengo il caro – in tutti i sensi – Mac e vado a dormire. È cominciato il mio weekend senza Internet: il mio weekend offline.
Quella sera avevo letto l’articolo di Beppe Severgnini - grande giornalista che ho sempre ammirato anche per la sua fede interista condita da un pizzico di salutare autoironia (e a noi interisti di autoironia ne serve davvero tanta a volte) – nel quale racconta la sua settimana di digiuno digitale: Sette giorni fuori Rete è il titolo di questo diario di bordo nel quale Severgnini torna agli antichi strumenti che regolavano una volta la vita privata e professionale dell’uomo, come il fax, gli SMS, le chiamate al telefono. Insomma niente Skype, niente social network, niente Google. In poche parole, niente Internet.
Naturalmente Severgnini ha digiunato per una settimana ed è una persona che per il suo lavoro ha bisogno di Internet come il pane per poter rimanere al passo della moltitudine di informazioni che circolano nel nostro mondo, ma lo prendo come modello e mi prefiggo di salutare il web per un weekend.

Sabato e domenica sono a Jesolo alla Festa dei Giovani dei salesiani con alcuni amici: dobbiamo allestire il nostro stand e quindi saranno due giorni pieni e impegnativi. “Bene” – penso – “così non avrò nemmeno la tentazione di guardare il cellulare – scusate, lo smartphone”. E in effetti è così, per due giorni la tentazione è stata nulla, o quasi. Naturalmente con gli amici sono partiti i selfie, le foto, i post su Facebook, i mi piace e i commenti degli amici a casa che ne conseguono. Eppure sono stato bravo, mi dico, perché ho lasciato il telefono in tasca – cari nativi digitali scusate, ma mi sono stufato di chiamarlo sempre smartphone – e in fin dei conti penso che si sia riposato anche lui, non costretto a consumare la sua batteria per Internet e app varie.
Arrivo alla domenica sera e ho la sensazione di aver usato maggiormente il mio tempo. È come quando vai al mare e ti riempi i polmoni di aria buona, buttando fuori l’aria cattiva della città: ti sembra di respirare meglio, di essere in qualche modo più in salute. Ecco, alla domenica sera mi stendo sul letto, continuo a leggere l’ultimo libro di Gianrico Carofiglio – La regola dell’equilibrio – prima di mettermi a dormire e penso al tempo che ho risparmiato non scorrendo il dito su uno schermo. Ho usato di più la testa, non affidando a Google la soluzione ai problemi e stando attento ai cartelli stradali invece che alla voce di un navigatore. Ho inviato (pochi) SMS come facevo alle medie e alle superiori – cavolo in effetti esistono ancora, alla faccia di WhatsApp e delle sue spunte blu! – e non ho dovuto nemmeno caricare spesso la batteria del telefono.

Va bene sì, è vero, poi dal lunedì è ricominciata la vita online. È forse impensabile eliminare la tecnologia dalle nostre abitudini - a meno che non vogliate vivere alla Christopher McCandless di Into the Wild – ma ogni tanto staccare fa bene. Magari il prossimo digiuno sarà un po’ più lungo. Per respirare ancora meglio.