domenica 11 settembre 2016

THE FALLING MAN

The Falling Man, la fotografia scattata da Richard Drew
dell'Associated Press 
Dieci secondi. È il tempo che ci è mediamente voluto per morire gettandosi dalle finestre delle Torri Gemelle quell'ormai tragico 11 settembre 2001. È il tempo in cui mille pensieri hanno affollato la mente di chi stava precipitando con la consapevolezza di morire di lì a poco, di chi è stato costretto a scegliere come morire, senza l'opportunità al contrario di poter scegliere come salvarsi. Tremila morti in quel giorno che sono state vittime di quell'estremismo islamico che ancora oggi siamo costretti a combattere e che invece di essere debellato si è evoluto in qualcosa di più macabro. Tremila morti che rappresentano il pegno pagato dall'Occidente per politiche internazionali sbagliate e sfociate poi in guerre in nome di chissà quale ideale di democrazia che ancora oggi stiamo pagando e che ancora non sappiamo per quanto tempo ancora pagheremo.

"The Falling Man" è una fotografia che racconta quei dieci secondi in cui centinaia di persone hanno dovuto scegliere la morte per evitare la morte. Una foto che racconta la crudeltà del terrorismo, delle violenza, dell'intolleranza, del fondamentalismo religioso, dell'interesse politico. Una foto che racconta le vittime di tutto ciò e che oggi, a 15 anni di distanza da quel giorno che tanto ha segnato la storia dell'Occidente e del mondo intero, ci ricorda che nulla è cambiato.

LA STORIA DELLA CELEBRE FOTOGRAFIA RACCONTATA IN QUESTO ARTICOLO DE IL POST




sabato 3 settembre 2016

CHARLIE HEBDO E LA SATIRA MESCHINA

Dicono che se non sai capire (alcuni dicono anche apprezzare) le vignette di Charlie Hebdo, allora sei una persona limitata, intollerante, conservatrice, contro la libertà di espressione, incapace di capire l'ironia critica e di denuncia di un giornale che invece sa come raccontare al mondo la realtà di ciò che accade. Sì insomma, chi non capisce la satira (che satira non è) di Charlie Hebdo è una persona bigotta e priva di humor a cui piace fare il moralista.



E vabbè, sarò anche tutto questo e allora parto da un punto semplice: Charlie Hebdo mi fa schifo. O meglio, mi fa schifo la sua linea editoriale irrispettosa, volgare, presuntuosa e priva di buon senso. Ovviamente non per questo spezzerei le matite dei suoi "vignettisti", perché è vero, viviamo in una società dove la libertà d'espressione è (dovrebbe) essere sacra. Diciamo allora che se ci fossero meno giornaletti del genere l'informazione ne gioverebbe parecchio. Anzi, preciso: in primis a stare meglio sarebbe proprio la satira. Che diciamocelo, non ha niente a che fare con Charlie Hebdo.

La satira ha il compito di "colpire" con le parole e le immagini il potere e chi lo detiene, denunciando fatti e misfatti al fine di portare a una riflessione qualora questo potere non portasse al bene di una società. Ma ha dei limiti, quelli del rispetto e del buon senso, divenuti ormai un optional nella società del "faccio e dico quello che voglio".

Ieri il giornale francese ha pubblicato una vignetta che ritrae le vittime del terremoto che ha colpito il Centro Italia la settimana scorsa come se fossero "penne al sugo di pomodoro", "penne gratinate" e "lasagne". Insomma, come ha titolato Charlie Hebdo, di fronte avevamo un bel "terremoto all'italiana". Proteste e indignazione si sono subito fatte strade sul web e il giornale satirico ha pubblicato sulla sua pagina Facebook una nuova vignetta che recitava: "Italiani, non è Charlie Hebdo che ha costruito le vostre case ma la mafia".

Eh sì, la mafia, quel caro biglietto da visita che ci presenta al mondo intero, ovviamente insieme alla pasta al pomodoro e alle lasagne che Charlie Hebdo ha prontamente disegnato. Anni fa il settimanale tedesco Der Spiegel ci aveva (noi, cara serva Italia) rappresentati come un piatto di spaghetti con una rivoltella sopra, ma lì ovviamente era giusto indignarsi, protestare per un pregiudizio nei confronti dell'Italia deviato dal comune "italiani pizza, mafia e mandolino".



Così come era giusto indignarsi quando Libero, nel novembre 2015 a seguito degli attentati terroristici a Parigi, aveva titolato "Bastardi islamici", titolo provocatorio, volgare, irrispettoso, razzista, politicamente scorretto. Ma quindi, che differenza c'è fra il titolo di Libero e la linea editoriale di Charlie Hebdo? Nessuna, se non che il primo lancia il sasso mentre il secondo lancia il sasso e nasconde la mano, usando la satira come maschera che tutto giustifica in nome della libertà di espressione.



Nei giorni successivi al becero attentato contro lo stesso Charlie Hebdo da parte di Al Qaeda i giornalisti del giornale francese sopravvissuti hanno vissuto lo shock di aver rischiato di perdere la vita e di aver visto amici e colleghi morire sotto i colpi dell'estremismo e del fanatismo islamico. Il Tempo oggi ha aperto la prima pagina con questa eloquente e significativa vignetta:




Sì è vero io ho quel brutto morbo della morale cristiana che dice "non fare agli altri quello che non vorresti sia fatto a te". E quindi boh, penso che se il giorno dopo l'attentato a Charlie Hebdo fosse uscita davvero una vignetta del genere non credo che si sarebbero fatti davvero due risate. Non so, mi metterei nei panni di quei genitori che hanno perso dei figli sotto le macerie o di chiunque abbia perso una persona cara, vederseli rappresentati come delle penne al pomodoro. "Però oh, è la satira!".

Altri dicono: "L'hanno fatto anche con i loro morti, con quelli delle stragi di Parigi e di Nizza". Beh, signori, qui non si tratta di morti italiani o francesi, ma semplicemente di morti, che in quanto tali hanno il sacrosanto diritto di riposare in pace.

Che poi, da un giornaletto che ha avuto anche il coraggio di pubblicare una vignetta su Aylan, il bimbo di due anni trovato morto sulle coste turche dopo una traversata andata male, cosa mi dovrei aspettare? E anche lì tutti pronti a piangere e a battersi il petto.

Ma consiglio a questo punto la lettura del pensiero del vignettista Emilio Giannelli del Corriere della Sera, che titolando "Non si calpestano così trecento morti" ha detto tutto.

La posizione del vignettista Emilio Giannelli uscita oggi,
sabato 3 settembre 2016 , sul Corriere della Sera


Ma anche il Buongiorno di Massimo Gramellini dal titolo "Je suis o non Je suis" spiega ancora una volta meglio perché quella di Charlie Hebdo non è una vignetta satirica ma solo una provocazione di cattivo gusto.


Il Buongiorno di Massimo Gramellini uscito su La Stampa (3 settembre 2016)



Diceva bene in questi giorni Enrico Mentana su Facebook: "Charlie Hebdo è questo! Basta laicamente dire che una vignetta ci fa schifo". E allora sì, caro Charlie Hebdo: le tue vignette mi fanno schifo. E non perché fai satira, ma perché fai satira meschina. Se volevi davvero criticare la mafia italiana che costruisce case pericolanti potevi farlo in mille altri modi. Una cosa è certa: non rappresenti la libertà d'espressione.