giovedì 17 luglio 2014

I MISTERIOSI COLLOQUI FRA SCALFARI E PAPA FRANCESCO


Il 14 luglio 2014 padre Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana, attraverso una nota comparsa sul sito www.news.va, uno dei canali ufficiali della Santa Sede, ha precisato come le parole attribuite da Eugenio Scalfari a papa Francesco in un articolo comparso su La Repubblica il 13 luglio fossero frutto della sua memoria di esperto giornalista, ma non di trascrizione precisa di una registrazione e tantomeno di revisione da parte dell’interessato, a cui le affermazioni vengono attribuite”. Una presa di distanza da quella che è stata diffusa come intervista da parte dei media e da Repubblica: Non si può e non si deve quindi parlare in alcun modo di un’intervista nel senso abituale del termine, come se si riportasse una serie di domande e di risposte che rispecchiano con fedeltà e certezza il pensiero preciso dell’interlocutore”. Parole dure da parte di Lombardi, che non si è nemmeno risparmiato di alludere a possibili manipolazioni di senso: “Nell’articolo pubblicato su Repubblica queste due affermazioni vengono chiaramente attribuite al Papa, ma – curiosamente - le virgolette vengono aperte prima, ma poi non vengono chiuse. Semplicemente mancano le virgolette di chiusura…Dimenticanza o esplicito riconoscimento che si sta facendo una manipolazione per i lettori ingenui?”. Di certo è facilmente intuibile come il colloquio fra Scalfari e il Pontefice non sia stato gradito in Vaticano nei termini coi quali è stato riportato: i virgolettati utilizzati dal fondatore di Repubblica hanno infastidito la Santa Sede in quanto attribuivano al papa frasi particolarmente delicate su temi quali la pedofilia e il celibato dei preti, come precisato da p. Lombardi nella nota. Ma soprattutto in Vaticano non hanno gradito tale “intervista” perché già infastiditi da un recente precedente: il dialogo-intervista avvenuto sempre fra Scalfari e Bergoglio. Era il primo ottobre del 2013 quando sul quotidiano La Repubblica comparve la lunga intervista rilasciata dal Pontefice al noto giornalista: un colloquio che sanciva il dialogo fra credenti e non credenti, emblema della cultura dell'incontro professata da Francesco. Eppure anche in quella occasione i virgolettati attribuiti da Scalfari al papa argentino furono oggetto di polemiche e precisazioni da parte di Lombardi, tanto che l'intervista fu poi cancellata dal sito web ufficiale della Santa Sede. Scalfari si giustificò sostenendo che in cinquant'anni di interviste non si era mai servito né di appunti né di registrazioni nella redazione degli articoli, affidandosi semplicemente alla sua memoria attraverso la quale ricostruire gli incontri. Inoltre il giornalista sostiene di aver avuto anche l'autorizzazione esplicita sia da parte di mons. Xuereb, segretario di Francesco, sia dal Pontefice stesso. Le due (presunte) interviste hanno scatenato un acceso dibattito, nel quale sono fioccate critiche a Scalfari (in particolare da Antonio Socci) e anche allo stesso Francesco, colpevole secondo alcuni di essere troppo aperto a posizioni progressiste. Senza entrare nel merito delle frasi attribuite al papa e senza questionare sulla onestà del fondatore di Repubblica, quello che lascia perplessi è l'operato giornalistico di Scalfari. È davvero possibile affidarsi completamente alla propria memoria nella strutturazione di un articolo piuttosto che di una intervista? Quello che dovrebbe caratterizzare l'operato di un giornalista è la narrazione completa e oggettiva dei fatti, lasciando all'interpretazione e ai commenti personali uno spazio relativo, per non influenzare in alcun modo il lettore, in modo da permettergli la formulazione di un pensiero proprio. Scalfari a dire il vero non parla mai esplicitamente di interviste ma di colloqui con il Pontefice: il problema è che poi negli articoli comparsi su Repubblica la struttura utilizzata è quella delle interviste. È possibile dunque attribuire all'intervistato delle frasi senza essere sicuri della loro veridicità? Questo dovrebbe essere il primo passo in ogni lavoro giornalistico: confermare e citare le fonti per evitare equivoci e fraintendimenti. Si sa, la memoria umana è facilmente fallibile e di breve durata: a meno che Scalfari non sia un drone dalla memoria infallibile, gli sarebbe più utile servirsi di un registratore o di appunti, quantomeno per avere delle prove tangibili in caso di necessità. Dispiace che un noto giornalista, fondatore di uno dei quotidiani più letti e venduti in Italia, sia protagonista di una vicenda che si poteva benissimo evitare, ma soprattutto dispiace che un evento di grande portata, come il dialogo fra la massima autorità della Chiesa cattolica e un noto ateo convinto, sia stato sminuito e oscurato da polemiche, smentite e note ufficiali. 

Immagine presa da formiche.net

Una lancia in favore di Leo


Prima il tormentone era: meglio Maradona o Pelé? Oggi è: meglio Maradona, Pelé o... Messi? Il fantasista del Barcellona, vincitore di numerosi titoli fra campionati e coppe con i blaugrana, è ormai costantemente al centro dei dibattiti calcistici sui re del pallone. Leo oggi ha 27 anni e ha già vinto tutto da un pezzo: Liga, Champions League, Copa del Rey, Supercoppa di Spagna, Supercoppa Europea, Mondiale per Club, Scarpa d'Oro, Pallone d'Oro. E siccome vincere tutto già quando hai poco più di vent'anni ti porta sopra a tutto e tutti, la sfida non può essere che provare a rivincere quello che hai già vinto, battere record di gol, di presenze, diventare capitano della Nazionale argentina e competere costantemente con quel furbacchione di Cristiano Ronaldo, che non perde occasione per pizzicarsi col fuoriclasse argentino. Ecco, una cosa manca però a Leo: vincere con la Nazionale. In carriera, come detto, ha già vinto tutto, anche più di Maradona, eroe nazionale ancora venerato come una divinità. Il problema è che per consacrarsi definitivamente come una divinità al pari del Pibe, Leo deve portare la sua Nazionale sul tetto del Mondo. Solo questo gli permetterà di poter superare Maradona. La finale con la Germania era l'occasione di una vita, ma è andata male. Leo non ha brillato, o meglio, essendo ormai tutti abituati alle sue giocate e ai suoi dribbling, ciò che per un giocatore normale sarebbe straordinario, per lui ormai è ordinaria amministrazione: tutti si aspettano sempre di più. Ed ecco che una prestazione normale della Pulce diventa invece una prestazione pessima: ci sta, è il gioco del calcio e dei media che hanno bisogno di parlare dei grandi campioni. Ma allo stesso tempo non ci sta per niente: attaccare Messi, mettendo persino in dubbio il suo talento, è qualcosa di insensato. Sono attacchi gratuiti, che non rendono giustizia ad un giocatore che ha incantato il mondo dimostrando sul campo il suo valore. La Fifa ha consegnato a Messi il Pallone d'Oro del Mondiale, sollevando numerose critiche, dato la prestazione pessima (o normale, a seconda dei punti di vista) di Leo in finale. Sono critiche giuste e legittime, dato che il premio sarebbe potuto benissimo andare ad esempio a James Rodriguez, capocannoniere della competizione con sei gol, davanti a Mueller (5) e allo stesso Messi (4). Questo conferma forse come nel calcio, e soprattutto nella Fifa guidata ormai da troppo tempo da Blatter, ci siano dinamiche e pressioni politiche che devono soddisfare gli interessi particolari di qualcuno. In tal senso è curioso come la stessa Fifa abbia escluso l'argentino dalla top 11 dei Mondiali: ma scusate, non era stato il miglior giocatore ai Mondiali? Detto questo è giusto spezzare una lancia in favore di Messi: viene accusato di non essere stato decisivo in questo Mondiale e di non aver portato l'Argentina a vincere un titolo che manca dagli anni Settanta. Come se fosse solo colpa sua. Nessuno dice che è stata tutta l'Argentina a non brillare e non solo Messi: Higuain ha fatto un solo gol, anche se bello e decisivo contro il Belgio ai quarti, Palacio zero, così come Aguero e Lavezzi. Nessuno dice che Sabella ha lasciato a casa uno come Tevez, così come nessuno dice che se l'Argentina è arrivata dove è arrivata, lo deve proprio a Messi e a nessun altro: un gol alla Bosnia, due alle Nigeria e uno all'Iran, tutti decisivi, belli e fondamentali per la vittoria, senza contare che il gol allo scadere dei supplementari di Di Maria contro la Svizzera agli ottavi, nasce da una serpentina di Leo, che serve al compagno un assist al bacio. La colpa di Leo è stata quella di fermarsi lì, una volta arrivate le partite più importanti, e questo certamente non gli fa meritare fino in fondo il premio di miglior giocatore del torneo. Ma questo non gli può certo togliere il suo talento e il suo essere un campione in un calcio fatto più da modelli e calciatori-immagine che da uomini di sport.  

Immagine presa da www.lastampa.it 

mercoledì 16 luglio 2014

UN MONDIALE STRANO


Germania vs Argentina: 0 a 0. Come per gli altri turni eliminatori durante i Mondiali in Brasile anche la finale del torneo si decide ai supplementari. Il pareggio sembra essere l'esito della sfida, ma Goetze al 113' trafigge Romero regalando la Coppa del Mondo alla Germania, con tanto di esultanza della cancelliera Merkel in tribuna (e poi negli spogliatoi). Una Germania forte e straripante a tratti (chiedere al povero Brasile, spazzato via con un 7 a 1 eclatante), la quale ha dimostrato di essere superiore alle altre “grandi” del calcio. Una Germania che ci raggiunge a quota 4 Mondiali nell'albo d'oro, uno in meno del Brasile, il quale esce da questa competizione psicologicamente distrutto. Un Mondiale che doveva essere vinto dalla squadra di Scolari, dopo le innumerevoli proteste per le spese sostenute dal governo nell'organizzazione della competizione (proteste già cominciate l'anno scorso durante la Confederations Cup), sfociate in scioperi dei mezzi pubblici, tafferugli e boicottaggi: la vittoria non era solo una questione sportiva e di prestigio, ma anche e soprattutto una questione politica, sociale e purtroppo, di ordine pubblico (non a caso dopo la sconfitta in semifinale non sono mancati gli scontri). Un esito che purtroppo era prevedibile, data la qualità scarsa della rosa del Brasile, la quale, paradossalmente, spiccava di più nel reparto difensivo che in quello offensivo, grazie ai vari Julio Cesar, Thiago Silva, David Luiz, Marcelo, Maicon e Dani Alves. Eppure è bastata la squalifica di Thiago Silva per far crollare il reparto difensivo contro la Germania. Un Brasile scarso, il quale non è riuscito ancora a sostituire degnamente la generazione di grandi campioni che gli hanno permesso di vincere i Mondiali del 2002 in Corea e Giappone: Ronaldo, Rivaldo, Ronaldinho, Emerson, Roberto Carlos, Cafù, giusto per citarne alcuni, oggi sostituiti da Bernard, Fred, Jo e Hulk. Un Brasile aggrappato a Neymar, giocatore di grande talento ma forse considerato un fenomeno troppo presto, quasi fosse un dio, tanto da attaccare mediaticamente il colombiano Zuniga, colpevole, secondo i brasiliani, di aver deliberatamente abbattuto il giocatore del Barcellona: in realtà un semplice fallo, non cattivo, è stato ingigantito più del dovuto, quando a parti inverse, niente di tutto ciò sarebbe accaduto. È stato un Mondiale strano, che probabilmente non ha entusiasmato molto: è forse il segno che il calcio sta diventando sempre meno uno sport e sempre più una questione di soldi, marketing e pubblicità; insomma, sempre meno gioco e sempre più apparenza e fronzoli. Abbiamo visto per la prima volta lo spry col quale l'arbitro segnava la posizione del punto di battuta delle punizioni e il limite delle barriere, snaturando forse quello che è il bello del calcio: astuzia, strategia e un po' di malizia. Abbiamo visto per la prima volta la moviola in campo, in occasione del secondo gol della Francia contro l'Honduras, dove le immagini hanno confermato che la palla aveva oltrepassato la linea, con tanto di proiezione sui maxischermi dello stadio: in questo caso un fatto positivo, dopo la clamorosa svista in occasione della sfida Inghilterra vs Germania ai Mondiali del 2010, quando la terna arbitrale si perse clamorosamente un evidente gol di Lampard. É stato un Mondiale strano e sorprendente, con le clamorose e inaspettate qualificazioni agli ottavi di Costa Rica e Grecia, con le entusiasmanti prestazioni di Messico, Colombia e Cile, ma soprattutto con le deludenti eliminazioni di Italia, Spagna e Inghilterra. Ovviamente non si può non ricordare che uno degli eventi più sorprendenti è stato sicuramente il morso di Suarez a Chiellini, il quale gli è costato una bella squalifica data la sua recidività (ah, sorge spontaneo chiedersi: perché nessuna moviola in campo in questo caso?). Ma è stato anche un Mondiale con delle note positive, come il record di gol totali nella competizione del tedesco Klose (16, contro i 15 del Fenomeno Ronaldo), l'esplosione del talentuoso James Rodriguez, fantasista colombiano del Monaco, e la sorpresa Belgio, Nazionale piena di giovani talenti. Insomma, è stato un Mondiale nel quale è successo di tutto e di più, ma nel quale pochi si sono divertiti per davvero, a parte i tedeschi che oltre a dettar legge economicamente e politicamente, ora la dettano pure calcisticamente, grazie ad un campionato nazionale fatto di squadre sane nei conti, con stadi di proprietà sempre pieni e impianti all'avanguardia. La Germania, a differenza dell'Italia, è l'esempio di un Paese che ha saputo investire nel calcio. E intanto la Merkel balla, canta ed esulta coi giocatori, mentre il resto del mondo torna a casa a testa bassa.