sabato 26 novembre 2016

"MI PAR TI", LA POESIA IN PORDENONESE DI MASSIMO BUSET




Oggi, presso l'ex Convento San Francesco - luogo nevralgico per le iniziative culturali di Pordenone - Massimo Buset presenterà "Mi par ti", una raccolta di poesie nella parlato pordenonese che raccontano aneddoti, storie e personaggi della città di Pordenone. Alle 18.00 interverranno il presidente della Propordenone Giuseppe Pedicini, il vicedirettore del Messaggero Veneto Giuseppe Ragogna e Aldo Colonnello del circolo culturale Menocchio, che rispettivamente hanno pubblicato il libro, intervisteranno Massimo Buset nel racconto del libro e introdurranno all'evento. 

Per chi ama la nostra città e vuole conoscerla un po' di più quello di oggi è un appuntamento a cui non mancare, come si può leggere in questa intervista rilasciata da Massimo al Messaggero Veneto, nella quale esprime il suo amore per Pordenone attraverso il ricordo. E poi perché la poesia di Massimo - per me un amico oltre che una persona della quale nutro grande ammirazione e stima per la sua forza d'animo e la sua fede in Dio - è in grado di regalare allo stesso tempo emozioni, speranza e conoscenza. 

Ho avuto il piacere di intervistare Massimo due volte, sempre per la rivista Eventi. Nella prima occasione - era l'estate di un anno fa - ricordo il suo racconto personale di un rapporto forte con la poesia, ma ancor prima con le parole e il loro significato, spesso denso di emozioni. Un incontro nel quale si parlò proprio di Pordenone e delle sue storie. Ecco che quindi ripropongo qui, con piacere, i contenuti di quell'intervista, anzi, di quella chiacchierata su Dio, la sofferenza, la speranza e la bellezza delle parole cariche di un significato positivo. 

Massimo, come nasce la tua passione per la poesia?

È qualcosa che ha sempre fatto parte di me fin da quando ero bambino. Un qualcosa che scaturiva da una sorta di dialogo interiore nel quale sentivo il bisogno di cogliere e di trasmettere un messaggio. Ricordo che un giorno alle medie la mia professoressa di italiano si accorse che stavo scrivendo durante la lezione: all’inizio si arrabbiò ma quando capì che stavo scrivendo poesie fu subito contenta. Da lì in poi ho capito davvero che il mio dialogo interiore poteva essere poesia e da quel momento ne ho scritte tante. 

Come definiresti la tua poesia?

La mia poesia nasce da un ambiente di tribolata speranza nella drammaturgia della vita di ogni giorno, dove il dramma della vita si riferisce non solo alle mie sofferenze ma anche a quelle delle persone più semplici e a volte “maledette” perché non corrispondono ai classici canoni di bontà, dalla prostituta al barbone fino al “fuori di testa” che spesso si dimostra invece più “dentro di testa” di noi. Di pari passo però è una poesia nella quale è forte un’esperienza di fede cristiana, trasmessami dalle persone che mi sono sempre state vicine e a tanti testimoni che ho incontrato: una fede che ha certamente i suoi momenti di crisi e le sue cadute, così come il suo progredire – anche nel silenzio - in un desiderio di conoscenza che è un po’ il filo rosso della mia esistenza. 

In cosa consiste questo “filo rosso”?

Penso che se c’è una falsa drammaturgia della vita c’è anche una vera drammaturgia della vita che va oltre quello che noi umanamente concepiamo e dove possiamo trovare delle risposte che vengono da Dio. Non siamo stati creati a caso, senza motivo o per un inganno. 

In questa drammaturgia della vita che ruolo ha la sofferenza?

Ritengo la sofferenza una grande maestra, nonostante con essa abbia un rapporto di apprezzamento e di rifiuto al tempo stesso, perché la sofferenza mi pesa e mi pesa ancor più quella degli altri. Ma nonostante ciò mi ha aiutato ad evolvere nel pensiero e a lottare per vincerla nella speranza. E proprio la speranza è il messaggio di positività che cerco di trasmettere attraverso la poesia, perché ti permette anche di comprendere gli altri e di allargare la mente. È una scelta: la sofferenza può incatenarti portandoti alla disperazione oppure può spingerti a spalancarti aprendoti alla speranza attraverso la fede, che ne è la chiave. 

Cos’è per te la fede?

La fede nasce da un dialogo nel quale dire: “Ok, proviamoci, ci credo!”. Come ho detto prima ho avuto la fortuna di avere accanto a me tanti testimoni, a partire dalle persone più semplici, a volte anche sconosciute. Come ad esempio un barbone, che ogni tanto compariva nei luoghi più disparati per chiedermi come stavo. Ho ricevuto molto da don Angelo, dai missionari comboniani e da mons. Lozer. Durante l’adolescenza ho affinato la mia fede anche attraverso una giusta contestazione e una giusta coscienza critica nei confronti della Chiesa: non del suo senso e della sua missione ma delle sue strutture. 

Com’è nata la decisione di diventare diacono? 

La vocazione al diaconato è arrivata durante la lavanda dei piedi di un giovedì santo. Don Angelo mi battè una mano sulle ginocchia e mi disse: “Tu diventerai diacono”. Ricordo che alla fine della messa dissi a mia moglie Sofia: “don Angelo è diventato matto, ne ha sparata una delle sue!”. Io non ci pensavo proprio perché uscivo da un brutto periodo dove mi ero ammalato ed ero impossibilitato a lavorare: poi dopo un anno o due ricordo che durante una messa, quando don Angelo sollevò l’ostia alla Consacrazione, io la guardai e sentii chiaro e forte il desiderio di farmi diacono. Quando andai a dirglielo mi rispose “Va bene”, come per dire: “Sì lo so, te l’avevo già detto!”. Ritengo il diaconato un dono di Dio che convalida il mio desiderio di essere per gli ultimi, non solo per i bisognosi di pane ma anche per i bisognosi di considerazione, perché ognuno di noi è un portatore di qualche dono e di una missione.

Come descriveresti Dio? 

Se dovessi descrivere Dio lo descriverei come un arcobaleno, perché non riesco mai a racchiuderlo in una sola immagine. Ho tante immagini di Dio: può essere padre, madre, amico e alla fine mi viene in mente sempre tanta luce, tanti colori e tante espressioni che lo rendono infinito come la bellezza e come la poesia. 

Hai parlato prima degli ultimi. Che importanza ha per te il volontariato? 

Il volontariato penso debba essere mosso dall’attenzione alle relazioni dando tempo all’uomo. E questo serve in diversi campi: dal recupero dalle tossicodipendenze e dall’alcol fino all’aiuto alle ragazze madri. Il volontariato che personalmente amo di più è per me quello che nasce dalle occasioni quotidiane cercando l’uomo e rapportandosi con esso: una sorta di viandante che Dio mette sulla tua strada dandoti l’opportunità di porre al primo posto il servizio. 

Tornando nello specifico del tuo modo di intendere la poesia: quali sono gli ingredienti che ritieni fondamentali? 

Mi vengono in mente tre parole: sentimento, simbolo e messaggio. Sempre per cercare di produrre in me e negli altri il risveglio delle coscienze, sia per la propria dignità che per quella degli altri ma soprattutto senza dimenticare la Creazione, della quale cerco di cantare la bellezza attraverso la mia poesia e devo dire anche di difenderla. Tutti teniamo in ordine gli orti e i giardini delle nostre case ma penso sia ora di guardare anche oltre le nostre siepi, tenendo d’occhio la strada che tutti noi abbiamo davanti e che spesso smarriamo cadendo nell’abbruttimento: pensiamo a tutti i disastri che sfiancano il nostro pianeta ma anche le nostre città. 

C’è una poesia alla quale sei legato in maniera particolare? 

In genere è sempre l’ultima, perché fa parte di quel filo rosso che Qualcuno tiene in mano e che a volte rischio io stesso di spezzare. Proprio poco fa, prima di cominciare l’intervista, stavo abbozzando dei versi, che a volte nascono dalla contemplazione e delle altre vengono così, improvvisi. Stavo scrivendo così: “Maria, illogica, piena di grazia”. Una poesia alla quale sono affezionato è Profumi, che ho dedicato a mia moglie Sofia. 

Quali sono i momenti in cui ami scrivere? 

Il mio scrivere generalmente è improvviso: magari sto pregando o sto parlando con qualcuno e mi viene in mente qualche verso da scrivere. Ricordo che una volta non avevo con me nessun pezzo di carta e allora scrissi uno scritto di due o tre pagine su dei tovaglioli. Però il mio scrivere nasce anche dalle mie riflessioni e dai miei approfondimenti. Ultimamente mi capita di scrivere delle poesie che definisco didascaliche, come Lacrime, che recita così: “Terra arida, sonante d’acqua”. Ecco una piccola poesia, un pensiero. 

Oltre a scrivere poesie religiose e in italiano scrivi anche poesie in dialetto. Cosa rappresenta per te la poesia dialettale e qual è il messaggio che vuoi dare attraverso di essa? 

Qualcuno ha detto che un albero non può vivere senza radici. Io voglio ricordare a me stesso e agli altri che dobbiamo recuperare e curare le radici, non come cose da museo ma come essenza vitale per la nostra esistenza. La poesia dialettale è quindi suono, parola ancestrale, origine e radice dalla quale si sviluppa l’albero anche nella giusta dimensione di modernità. Non è solo ricordo e memoria ma anche uno strumento per cogliere scorci di Pordenone - come vicolo San Rocco e il Campanile di San Marco – da mantenere vivi. Attraverso la poesia dialettale cerco di mantenere vivi anche personaggi semplici che ho conosciuto in casa di riposo o che sono stati miei vicini di casa: ognuna di queste mie poesie ha un messaggio e l’obiettivo di dare voce a questi personaggi e ai colori delle loro sofferenze e delle loro speranze. 

Quali sono invece i riscontri dei lettori a proposito delle tue poesie? 

Devo dire che ho sempre ricevuto degli apprezzamenti, sia di persona che per mail: ad esempio per il recital “Rosso Risveglio” si sono complimentate tante persone. Ma gli apprezzamenti che mi piacciono di più sono quelli che escono fuori dai canoni, ad esempio: “La tua poesia mi ha talmente toccato il cuore che mi ha fatto piangere lacrime di sangue” – devo dire che mi sono anche un po’ sentito in colpa e mandai subito alla lettrice un’altra poesia! Inoltre sono contento quando i miei scritti vengono apprezzati per l’apertura alla speranza che cerco di trasmettere nei miei finali, a volte anche battendo forte per poter dare la possibilità di vedere la vita con un occhio diverso. Il mio obiettivo è quello di far pensare il lettore perché penso che oggi nella nostra società si pensi poco: sono convinto che ognuno di noi in fondo sia un poeta.

Ti viene più spontaneo scrivere in dialetto o in italiano? 

In passato scrivevo di più in italiano e lo scrivere in dialetto era sporadico e occasionale, mentre oggi è molto più frequente. Devo dire che la poesia dialettale è molto più diretta rispetto a quella scritta in italiano, che invece ha bisogno di essere letta più di una volta per essere compresa fino in fondo nel suo messaggio. 

Prima hai parlato di alcuni scorci di Pordenone. Ci sono dei luoghi che ritieni essere poesia o che ti sono di ispirazione in maniera particolare? 

Pordenone è una città violentata con un cuore piccolo architettonicamente ma che esprime grande arte: mi riferisco a tutto il centro di Pordenone e in particolare alle zone di San Marco e corso Vittorio Emanuele e di tutti i suoi vicoletti. Su Pordenone ho scritto una poesia che mi sta tanto a cuore e che amo molto perché le racchiude tutte – Filò – che parla della città e del Noncello e che inizia così: “Sol e Nonsel, se scambian caresse”. Ma ho anche scritto della città in maniera polemica in riferimento alle amministrazioni comunali perché credo che Pordenone meriti una cura maggiore, specie da noi cittadini. A volte mentre passeggio per il centro con Sofia mi capita di rimanere colpito da qualche dettaglio che genera in me poesia, magari mentre siamo seduti al tavolino di un bar a bere un caffè in mezzo alla gente che passa a piedi o in bicicletta. 

Che sensazioni ti ha lasciato la giornata del recital “Rosso Risveglio”? 

Il titolo “Rosso Risveglio” ha come significato un risveglio che nasce dal sangue e dalla sofferenza: un sangue che però è anche vita e la mia vita ha senso solo se diventa dono nella fatica del giorno, nella speranza, nel pensiero e nel dialogo con gli altri. Quando mi hanno fatto delle domande sul palco all’inizio ero un po’ a disagio ma dopo le prime due parole mi sono sentito bene e sicuro di me stesso perché quello che desideravo era comunicare con le persone per trasmettere un’esperienza e un messaggio di speranza. 

Hai qualche progetto in mente?

Un titolo che mi passa spesso per la mente è “Orazioni di Amore”, nel quale vorrei scrivere la poesia religiosa intramezzata da un altro tipo di poesia che è quella legata all’amore umano, come Profumi. Quello che per me è importante è scrivere tenendo conto del confronto, perché il dialogo ti aiuta ad emergere e a generare qualcosa che vale. Il pensiero chiuso è morto in partenza mentre quello aperto si allarga e riceve reciproci stimoli e reciproche risposte con chi entra in relazione con te. 





mercoledì 23 novembre 2016

REFERENDUM, SÌ VS NO: VOTARE INFORMATI




Mancano poco meno di due settimane a domenica 4 dicembre 2016, giorno in cui saremo chiamati a votare un referendum riguardante quella riforma costituzionale che tanto sta tenendo banco da un po' di mesi a questa parte su giornali, programmi radiofonici, social e telegiornali. 

Come in ogni referendum si contrappongono i due fronti: quello del no e quello del sì. Questo referendum è forse il più politicizzato come non accadeva da un po' di tempo: riguarda una riforma della Costituzione promossa dal governo Renzi e per questo motivo rischia di trasformarsi in un voto di giudizio sul Presidente del Consiglio piuttosto che sui contenuti della riforma. 

È quindi necessario più che mai scindere le due cose, per un voto che possa essere il più coerente possibile con la bontà o meno delle proposte e non un voto populista o da tifo da stadio. 

I CONTENUTI

Partiamo allora proprio dai contenuti: di cosa parla la riforma? 

1. Superamento del bicameralismo paritario
2. Ripartizione competenze statali e regionali (Titolo V della Costituzione)
3. Elezione del Presidente della Repubblica
4. Abolizione del CNEL (Consiglio Nazionale per l'Economia e il Lavoro)
5. Eliminazione delle Province

IL TESTO DEL QUESITO

Contenuti racchiusi nel testo del quesito che troveremo nella scheda referendaria: 

“Approvate il testo della legge costituzionale concernente disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della costituzione?”

UN REFERENDUM NON ABROGATIVO

Leggendo il testo è evidente come, a differenza di molte altre occasioni, il referendum al quale saremo chiamati a rispondere sì o no non sarà abrogativo e in quanto tale non sarà necessario alcun quorum: l'esito sarà infatti determinato semplicemente dal numero dei votanti che si recheranno alle urne. Viene meno quindi il principio dell'astensionismo che vedeva i contrari al referendum ostacolarne la validità non esercitando il voto. 

IL TESTO DELLA RIFORMA

In questo post non esprimerò alcun giudizio nè sulle ragioni del no nè su quelle del sì, non sostenendo alcuna posizione. Semplicemente riporterò alcune fonti dalle quali informarsi nella maniera più chiara possibile. 

Partendo proprio dal testo della riforma che potete trovare in Gazzetta Ufficiale. 

LE RAGIONI DEL SÌ E QUELLE DEL NO

Come detto molte sono le ragioni dei due fronti, che potete trovare qui: 

1. Comitato del Sì - Basta un Sì
2. Comitato del No - Io Voto No 

APPROFONDIMENTI

Di seguito anche alcuni link per approfondire tutte le tematiche che riguardano il referendum. 




Ovviamente non poteva mancare il celebre Speciale referendum su La7 di Enrico Mentana, così come varrebbe la pena seguire il dibattito televisivo - moderato sempre da Mentana - fra il Presidente del Consiglio Renzi e il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky:



Infine, #TBUtalksaboutcostituzione, lo speciale di The Bottom Up che approfondirà, con una serie di articoli, le ragioni del sì e quelle del no. 

Insomma, che votiate sì o che votiate no, l'importante è che lo facciate con senno. E andateci a votare, perché altrimenti a decidere saranno sempre gli altri.