mercoledì 6 novembre 2019

Apologia dell'ignoranza

L'astensionismo dei partiti di destra di fronte all'istituzione della Commissione Segre contro odio, razzismo, antisemitismo e discriminazione. Gli ululati - gli ennesimi - a Mario Balotelli durante Verona-Brescia di domenica. Da un lato la politica, dall'altro il calcio. In mezzo l'ideologia che si fa beffe della memoria storica e occupa gli spazi dello sport. 




Sono giorni a dir poco difficili, quelli che stiamo vivendo. Difficili perché di fronte a un tema che dovrebbe unirci, come dovrebbe essere la lotta alla discriminazione, ci troviamo divisi più che mai. Difficili perché quando la storia viene messa in discussione e l'evidenza ridotta a mera opinione, ciò che ci aspetta non può essere altro che preoccupazione per il nostro domani. 


In questi giorni abbiamo scoperto - o meglio, ci siamo purtroppo resi davvero conto - di quanto non si possano più dare per scontati valori come la democrazia e il rispetto. L'attualità di queste ore ci fa leggere di politici che minimizzano la gravità di insulti razzisti contro un giocatore di colore (per alcuni sarebbe più corretto dire negro); di capi ultras che inneggiano a Hitler, "che sì, si è macchiato di colpe gravi ma meno di quelle della democrazia"; di capi ultras che al tempo stesso sono anche esponenti politici di estrema destra e che "sì, Balotelli ha la cittadinanza italiana ma non potrà mai essere completamente italiano". Perché non è bianco, è ovvio. Anche voi su, che domande fate? 



In questi giorni abbiamo scoperto - o meglio, anche qui sarebbe meglio dire che ci siamo davvero resi conto - che la testimonianza vivente di una sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti ha un valore poco più che relativo. "Sì beh, per carità, siamo vicini a quella lì - com'è che si chiama? - però basta demonizzare tutto e tutti con questo velo sottile di vittimismo, è passato tanto tempo dai", sembra di sentire parafrasando alcuni. 


In questi giorni abbiamo scoperto - anzi, anche qui è doveroso dire che ci siamo davvero resi conto - quanto manchi una vera presenza istituzionale. Invece che rassicurazioni e condanne, dalla politica sono arrivate rivendicazioni di danni d'immagine e denunce orwelliane alla libertà d'espressione. Balotelli, oggetto di cori e insulti razzisti, è stato accusato di diffamare la città di Verona e rischia addirittura una denuncia. Liliana Segre, sopravvissuta all'orrore del nazismo, non ha ricevuto solidarietà piena e unanime dai colleghi senatori in Parlamento. La vittima che diventa carnefice. 

Photo Credit: ANSA 

È come se oggi la moda del momento fosse quella di sdoganare il paradigma buonista del "siamo tutti uguali a prescindere da colore della pelle, religione e bla bla bla". Sì insomma, roba da buonisti, appunto.  

"Che noia, questo buonismo. Che noia sentir parlare continuamente di negri da salvare perché affogano in mare. Ecchepalle questi che appena dai del mangiabanane a uno di questi qui ti vengono a dire su, che sei razzista, che sei disumano. Ma andate a fanculo, salvateli voi"



Non le sentite anche voi queste voci che aleggiano nell'aria? Sì lì, proprio sopra le nostre teste, mentre sussurrano alle nostre orecchie. Non lo leggete anche voi, questo odio, negli sguardi delle persone, nei loro ghigni sottili? Non lo leggete anche voi, questo odio, mascherato dietro alla parola goliardia

"Ma sì, dai. Ti pare che adesso ci mettiamo ad accogliere tutti? Che ci mettiamo a questionare se una svastica o un braccio teso sono o no apologia del fascismo e del nazismo? Se dire o non dire negro sia o meno discriminatorio? Cos'è, ci mettiamo anche a fare le Commissioni in Parlamento su 'ste cazzate? Ma dai, ecchepalle!"


Non vi sentite anche voi, come dire... spaesati di fronte a tutto ciò? Di fronte a questo relativismo per cui tutto è degno di essere pronunciabile in nome della libertà di espressione? E invece diciamocelo che no, non è vero, che non può valere per il razzismo. Che non può valere per il fascismo. Che non può valere per il nazismo. Che non può valere per l'odio.  

Diciamocelo che tutto questo è semplicemente ignoranza. Di quelle pericolose. Di quelle di cui oggi si fa una schifosa apologia.


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razzismo Concezione fondata sul presupposto che esistano razze umane biologicamente e storicamente superiori ad altre razze. È alla base di una prassi politica volta, con discriminazioni e persecuzioni, a garantire la 'purezza' e il predominio della 'razza superiore'. 

òdio  Sentimento di forte e persistente avversione, per cui si desidera il male o la rovina altrui; più genericamente, sentimento di profonda ostilità e antipatia. 

[Treccani]

sabato 2 novembre 2019

Due chiacchiere sull'Amazzonia con don Claudio Pighin


Missione, inculturazione, ecologia integrale, difesa dei popoli indigeni, rito amazzonico, ruolo della donna e nuovi ministeri. Sono questi i temi emersi durante il recente Sinodo sull'Amazzonia e ricapitolati nel Documento finale prodotto. Un documento che definisce la Chiesa "alleata dell'Amazzonia", una terra che sta vivendo un momento storico particolare, sia dal punto di vista ambientale che da quello politico. Una terra che ci sembra lontana, ma la cui attualità non è così distante dalle problematiche che siamo chiamati oggi ad affrontare. 

Di Amazzonia parlo con don Claudio Pighin, nato a Zoppola (in provincia di Pordenone) nel 1952, che in quei Paesi “lontani” ci ha vissuto in missione per ben quarant’anni. Oggi è parroco a Pordenone, ma quando ci parlo per la prima volta non posso che notare come il suo accento sia tutt’altro che pordenonese. 



Don Claudio, come è nata la sua vocazione alla consacrazione? 

A undici anni sono entrato nel Seminario di Pordenone e poi nel seminario teologico di Monza del PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere). Fin da bambino ho sentito il grande desiderio di essere missionario per servire quelli che avevano bisogno nelle terre di missione. Nella mia testa era fisso questo desiderio di servire quelli che soffrono oltre Oceano.

Quali sono state le attività svolte durante la sua attività missionaria? 

Sono partito per l’Amazzonia brasiliana all’età di 26 anni, appena ordinato sacerdote. Ho girato abbastanza l’Amazzonia e dedicato molto del mio tempo all’educazione. Ho fondato la scuola di comunicazione ‘papa Francesco’ che si rivolge esclusivamente ai giovani poveri del Pará e Amapá, alle foci del Rio delle Amazzoni. Una scuola quindi gratuita che dà un diploma tecnico. Vogliamo aiutare i giovani a diventare protagonisti della società.

Cosa le viene in mente quando si parla di Amazzonia?

Da missionario che ha vissuto per ben quarant’anni nell’Amazzonia brasiliana, posso testimoniare l’importanza di discernere la volontà di Dio e come si riesce o meno a vivere il Suo progetto. Dio ha consegnato al patrimonio umano una terra ricca di foresta, di acque, di flora, fauna, ma i popoli che la vivono, soprattuto gli indios, stanno soffrendo e non riescono a vivere in armonia con la propria natura. 

Quali sono, a suo avviso, le cause di questa sofferenza?

I grandi progetti che si sono installati in questa terra verde, apparentemente sembrano un progresso di vita, ma in verità sono diventati una minaccia per l’equilibrio della vita di quei popoli. Quante persone, le più vecchie, mi hanno detto: “Padre, prima, quando eravamo ben giovani, avevamo tutto; non ci mancava pesce, caccia, frutta, açai, farina di mandioca, galline e ora invece queste cose ci mancano sempre di più. Padre, tutto è cambiato, soprattutto da quando hanno fatto le prime strade. La nostra vita ora non è più tranquilla e serena. Allora non avevamo documenti di proprietà, ma tutti ci capivamo e ci rispettavamo. Ora che sono arrivati i grandi progetti tutto è cambiato e persino tra di noi non siamo più gli stessi” 

Qual è il contributo che può dare l’attuale Sinodo sull’Amazzonia? 

La vita degli amazzonici è la testimonianza dei cambiamenti radicali della vita in Amazzonia. Hanno perso il loro habitat del passato per vivere una nuova realtà che non è più loro. Per questo, la Chiesa non può evangelizzare se non ascolta il clamore dei popoli che là risiedono. Come una madre che si preoccupa per il figlio, così la Chiesa si preoccupa per i popoli dell’Amazzonia. L’amore della Chiesa la rende più vicina a loro per difenderli e aiutarli. Il Sinodo è una risposta di amore anche per quei figli e figlie che sono in Amazzonia.

lunedì 25 marzo 2019

Gerusalemme, ombelico della fede

Affascinante. È il primo termine che viene in mente osservando Gerusalemme dall'alto, fuori dalle mura della Città Vecchia. Quella che è divisa in quattro quartieri, le quattro identità che compongono una città che probabilmente della sua vera identità è ancora alla ricerca. Il quartiere musulmano a nord-est, quello latino (cristiano) a nord-ovest, quello armeno a sud-ovest, quello ebraico a sud-est, vicino al monte del tempio. Quattro quartieri per quattro identità: divise, conflittuali, eppure in costante relazione. 



La si guarda da lontano, Gerusalemme, e sembra quasi un quadro. La Cupola della Roccia - dorata e imponente alla vista - a sud, il Cenacolo a ovest, la Basilica della Dormizione a nord-ovest. E poi il Pinnacolo del tempio, quell'angolo a sud-ovest delle mura dove il diavolo tentò Cristo. Sembra quasi di vederla, la scena. E poi la valle della Geenna, la valle a sud-ovest della città dove ai tempi di Cristo si bruciavano i rifiuti. 

Sembra un quadro, Gerusalemme, e quando ci si entra sembra di entrare in una storia e nella Storia. I vicoli stretti, i negozi di souvenir ammassati l'uno addosso all'altro, i chioschetti  con il succo di melograno, le insegne dei quartieri, a simboleggiare il cambio di identità e cultura appena ci entri. Come se la città ci tenesse a rimarcare le molte differenze che la compongono. E in effetti è così. Ognuno sottolinea la propria, di identità. La propria appartenenza, la propria fede, il proprio pezzetto di giurisdizione. Il modo di vestire, il modo di guardare, il modo di parlare: tutto si mostra, a Gerusalemme. 

Si può respirare il mix di culture, di differenze, di contraddizioni. Di sospetti, come quando la vista dello straniero genera diffidenza e anche sdegno. C'è chi sputa per terra, al suo passaggio. Semplicemente perché appartenente a un credo diverso. C'è anche chi lancia qualcosa addosso a chi non è gradito, come una bottiglia d'acqua piena alle spalle. Ma come ogni forza c'è ne è un'altra uguale e opposta che cerca strada: il dialogo cerca di farsi spazio nonostante tutto, cerca il confronto e la condivisione di una ricchezza intrappolata nella rigidità delle differenze e di una storia - politica e culturale - che non ha mai smesso di ribadirle. 


È un ombelico, Gerusalemme. Dal quale fuoriesce il concentrato delle confessioni cristiane, delle religioni monoteiste, delle faide storiche e politiche. Ma anche nel quale molto converge: la sete di conoscenza, la continua ricerca dei fedeli di tutto il mondo, la bellezza di un territorio pieno di storia, la speranza di una soluzione territoriale che possa finalmente dare pace e convivenza a questa molteplicità.



È un ombelico, Gerusalemme. Città densa, conflittuale, ma affascinante. Già, affascinante. Un termine che ha aperto queste righe e che al tempo stesso le chiude, senza però una conclusione. Perché è proprio nel suo fascino, nella sua ricchezza, che Gerusalemme ci dice che è un luogo che non finirà mai.