venerdì 10 aprile 2015

GIORNALISMO SOCIAL

“Guadagnarsi la fiducia del lettore dicendo sempre la verità; chiedere scusa quando si sbaglia; scrivere con un linguaggio semplice”. Queste sono le regole individuate da Indro Montanelli per descrivere correttamente quello che dovrebbe essere il giornalismo.
Gli assunti elencati da uno dei più grandi giornalisti italiani sembrano essere di forte attualità e, molto probabilmente, saranno i cardini attorno ai quali continuerà a ruotare il futuro del giornalismo. Un futuro che per alcuni pare incerto, per altri invece molto chiaro e semplice, forti di presunte previsioni etiche ed economiche sullo stato di una professione attualmente in crisi o quantomeno in forte cambiamento.
Per cercare di capire su quali binari si sta incanalando il giornalismo e quale sarà la prossima tappa del suo viaggio, bisogna prima partire da ciò che sta cambiando nell’esercizio di tale professione e da quei fattori che ne stanno sancendo il cambiamento, dalla crisi economica al ruolo della pubblicità, dall’etica del giornalismo fino allo sviluppo tecnologico e al ruolo della Rete.

La crisi economica e il ruolo della pubblicità

Uno dei fattori caratterizzanti della professione giornalistica nella nostra società è sicuramente la crisi economica. Essa sta mettendo a dura prova la società, il mondo del lavoro a vari livelli e quindi anche quello giornalistico ne sta risentendo. Gli organi di informazione sono costretti ad esempio a chiudere gli uffici di corrispondenza all’estero perché non in grado di sostenerne i costi, affidando ad un corrispondente aree geografiche molto vaste da coprire, con una conseguente impossibilità di fornire notizie approfondite in maniera adeguata. Ecco che così diminuiscono le redazioni, non solo all’estero: esse vengono accorpate oppure ridotte sensibilmente, con la conseguenza di un aumento della tendenza a rivolgersi a giornalisti freelance in grado di fornire collaborazioni occasionali non gravando eccessivamente sui bilanci degli organi di informazione attraverso contratti vincolanti. Ciò comporta anche una ridefinizione della figura del giornalista stesso: paradossalmente infatti si rischierà in futuro di avere maggiori difficoltà a trovare lavoro da giornalisti professionisti piuttosto che da giornalisti pubblicisti proprio a causa dei vincoli contrattuali che i primi impongono attraverso il loro status
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La crisi di risorse economiche comporta anche una riduzione fisica dei giornali: non solo nel numero minore di copie vendute – fatto dovuto anche ad una sempre più scarsa propensione alla lettura, soprattutto in Italia – ma anche nella grandezza dei giornali stessi. Molti quotidiani infatti stanno adottando il formato tabloid, che consente di risparmiare carta e inchiostro – in Italia Il Foglio è invece rimasto fedele ad un formato grande – e stanno optando per figure non a colori, in bianco e nero, soprattutto per quanto riguarda i giornali locali che spesso non possono permettersi grandi risorse e che sono quindi anche maggiormente soggetti a tagli economici e redazionali.
In tutto questo gioca un ruolo fondamentale la pubblicità. Quella su carta non è più una garanzia e maggiori ricavi sono garantiti attraverso gli abbonati secondo il modello del paywall – utilizzato ad esempio dal New York Times - secondo il quale non è possibile accedere ai contenuti di un sito web senza aver prima effettuato una sottoscrizione retribuita. La pubblicità sul web non è ancora in grado di sopperire al crollo della pubblicità su carta -  tornata nel 2012 ai livelli degli anni Cinquanta – ma, come sostenuto da Gleen Greenwald, ex giornalista del Guardian e Premio Pulitzer 2014, il problema è che oggi le notizie sono sempre più accessibili gratuitamente: per questo è necessario trovare un modello di business basato sul contributo dei lettori, al fine di proporre un tipo di giornalismo unico e originale in grado di attrarne l’attenzione. Ecco che il lettore viene ad essere sempre di più al centro del mondo dell’informazione, in quanto i suoi interessi sono il motore del flusso di informazioni in circolo e in costante aumento. Ciò spiega come Bezos e Omidyar, esponenti di due colossi come Amazon e eBay, abbiano deciso di entrare nel mondo dell’editoria – il primo ha acquistato il Washington Post e il secondo ha affidato a Greenwald First Look Media, un progetto di giornalismo indipendente – inserendosi in un flusso continuo di informazioni che richiede sempre più servizi per il pubblico, indipendentemente dalla difficile situazione economica in cui versano i media e l’editoria.

Un nuovo giornalismo che ruota attorno al lettore

“Go where the audiance is”. È questa la massima che sembra muovere e dominare il mondo dell’informazione e della comunicazione oggi, in particolare con l’avvento delle nuove tecnologie, dei social network e dell’universo 2.0.
Come in ogni mercato un’offerta si formula anche in base alla domanda del pubblico e ciò vale anche per l’informazione. Il flusso continuo e sempre più veloce di contenuti ha accentuato questa logica, portando gli organi di informazione a chiedersi sempre più spesso quali siano gli interessi del pubblico e come sfruttarli al meglio: una volta individuato un pubblico già definito in base ad uno o più interessi sarà infatti più facile ampliare la propria portata creando un seguito e conseguentemente profitti. L’informazione è sempre più differenziata e personalizzata in base ai molteplici interessi del pubblico, sempre più abituato a scegliersi le notizie, che a loro volta scelgono il lettore i cui interessi sono registrati da Google e da Facebook, la cui pubblicità è precisa e mirata grazie ai Big Data.
Gianni Riotta, giornalista de La Stampa, ha parlato di una società – la nostra – che sta vivendo il passaggio dal Secolo delle Masse – il Novecento – al Secolo dell’Individuo, nel quale non è più importante fare una comunicazione di massa rivolta ad un pubblico generalista, ma al contrario una comunicazione personal, rivolta ad un pubblico di individui differenti gli uni dagli altri. Il giornalismo quindi deve produrre un’informazione in grado di rivolgersi a individui e non più a masse, adattando le sue risorse a questa logica. È in questo senso significativa la crisi delle homepage dei siti di informazione: sempre Riotta sottolinea come esse siano state a lungo scambiate per le prime pagine dei giornali cartacei, con la tradizionale impostazione della gerarchia delle notizie che vede le più importanti nel taglio alto e quelle secondarie nel taglio basso. In realtà le homepage non consistono per niente alle prime pagine: i lettori cercano sempre di più una specifica notizia attraverso i motori di ricerca e non una gerarchia di notizie, venendo così reindirizzati su di esse attraverso i social network e Google. Su questa impostazione il New York Times ha ristrutturato il suo sito Internet, concependolo come un archivio da cui l’utente può attingere andando oltre la ricerca iniziale e creando così una catena di click all’interno della quale inserire la pubblicità grazie anche ai social network – il sito è stato infatti anche pensato per essere facilmente visitabile su smartphone e tablet.
Il fatto che i lettori arrivino alle notizie tramite i social e Google è sintomo che la crisi delle homepage è anche la causa di una disintermediazione nella quale i giornali non fungono più da mediatori fra il pubblico e le notizie: molti giornalisti lasciano le loro testate di riferimento e si mettono in proprio attraverso blog e altri progetti, come il caso Greenwald-eBay insegna. 
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Nascono così progetti come BuzzFeed, soggetto mediatico in forte espansione che abbina contenuti virali e contenuti più di spessore, secondo una strategia che vede soft news e hard news attrarre pubblici differenti ma complementari. BuzzFeed rappresenta un nuovo stile di giornalismo i cui contenuti sono sponsorizzati in collaborazione con il lettore e il cui linguaggio – quello del web – risulta attraente: i video virali attraggono utenti ai quali, una volta conquistati, si possono vendere anche contenuti seri.

Il giornalismo di domani

Quale sarà il domani dell’informazione? Questa domanda assilla giornalisti, editori e addetti ai lavori, riempiendo articoli di giornale e creando un ampio dibattito nell’opinione pubblica. Sapere con certezza cosa sarà il giornalismo domani è impossibile: l’evoluzione tecnologica e quella della società corrono sempre più freneticamente e non ci permettono di fare previsioni esatte. Possiamo però immaginare, grazie a ciò che il giornalismo è oggi, quali potranno essere i possibili sviluppi.
I lettori sono sempre più coinvolti nel processo di news making grazie ai loro interessi ma anche attraverso una partecipazione attiva e diretta. Pensiamo ad esempio alle trasmissioni televisive, dai talk show politici ai reality, dai programmi di intrattenimento a quelli sportivi: esse sono sempre più connesse alla Rete e ai social, attraverso hashtag che permettono la partecipazione dei telespettatori e che diventano uno strumento di misura del successo e del gradimento della trasmissione, rispondendo alla domanda Cosa pensa la Rete?  e dando così voce all’opinione pubblica. Si crea così un giornalismo social – la cui massima espressione è la trasmissione di Rai3 Gazebo – nel quale è centrale l’engagement, ossia l’insieme delle interazioni che si creano con i lettori dalle quali i media ottengono feedback preziosissimi e dal quale si crea una sorta di native journalism che permette agli utenti di costruire e raccontare una notizia attraverso i social e lo storytelling. Il citizen journalism, il giornalismo fatto dai cittadini attraverso articoli postati su blog e social e video caricati su YouTube, è un fenomeno in forte espansione – pensiamo alla Primavera araba – che cambia il modo di conoscere e raccontare gli eventi: i media tradizionali (tv, stampa, radio) non hanno più l’esclusiva delle notizie e può capitare che un semplice cittadino sia più tempestivo di un giornalista nello scovare e raccontare una notizia. Essi sono così costretti a rimanere al passo, utilizzando i social: Twitter come strumento di rassegna stampa, Facebook come strumento di marketing, YouTube e Instagram come agganci per raggiungere i più giovani.
La mole di Big Data derivanti dal web 2.0 crea un data journalism che si intreccia al giornalismo tradizionale formando un giornalismo a 360° nel quale una notizia viene continuamente aggiornata e impreziosita di dettagli in pochissimo tempo attraverso strumenti quali il fact-checking, il live-blogging e il live-tweetting. Si ottengono così diversi punti di vista di uno stesso evento, con un rischio però molto importante: creare un mare di notizie incontrollabili e non verificabili causando smarrimento e confusione nel lettore.
Le informazioni sono sempre più veloci e quindi servono strumenti all’altezza: Internet permette di raccogliere e organizzare una grande quantità di contenuti, formando una memoria storica raccontata attraverso timeline, infografiche, gallerie fotografiche e video – pensiamo al MediaLab de La Stampa - che diventano espressione di una necessaria convergenza tecnologica e mediatica in grado di semplificare il lavoro e che viene facilmente trasmessa attraverso i social – basti pensare a BBC News che sul profilo Instagram posta dei brevi video in stile servizio da telegiornale.
Uno dei rischi dovuti a questo flusso frenetico di informazioni è quello di trascurare la verifica delle notizie in una corsa allo scoop che va a discapito della buona informazione. Aspettare di dare una notizia per verificarne la veridicità è e rimane una delle regole fondamentali del giornalismo e dovrà esserlo anche in futuro – se avete qualche dubbio guardatevi la serie televisiva The Newsroom del celebre sceneggiatore e produttore televisivo Aaron Sorkin. Compito del giornalismo è infatti quello di informare e ciò è possibile solo cercando la verità. L’arduo compito che lo aspetta è conservare questo principio, sempre più difficile da attuare in un mondo che va sempre più veloce, che ha sempre più strumenti a disposizione e dove dare sempre al pubblico ciò che vuole può abbassare la qualità dell’informazione e oltrepassare i limiti deontologici.
La crisi del giornalismo non è solo economica ma è anche sociale e culturale: essa rispecchia una crisi della società tradizionale, una competizione fra giornalismo super partes e giornalismo soggettivo e un’informazione standard, uguale per tutti, che non basta più. 
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La professione del giornalista si sta evolvendo in quella che potrebbe essere definita figura del giornalista 2.0: una figura in grado di saper scrivere un pezzo ma anche girare e montare un video, sintetizzare in un tweet, postare riflessioni e considerazioni su un blog e raccontare eventi su Storify dando delle vere e proprie notizie digitali e multimediali. Il tutto però senza dimenticarsi alcune semplici regole tradizionali: dire la verità, correggere gli errori, farsi comprendere.