mercoledì 25 febbraio 2015

STOP AL CALCIO GRECO

Alexis Tsipras, leader di Syriza e neo premier del governo greco, ha fermato il calcio greco. La decisione è stata presa a seguito degli scontri avvenuti domenica scorso fra i tifosi del Panathinaikos e quelli dell'Olimpiacos e fra i tifosi del Larissa e quelli dell'Olimpiakos Volou, con tanto di invasioni di campo e caccia ai giocatori. Violenza che si è poi trasferita anche nell'assemblea di Lega di martedì, con uno scontro fisico fra i presidenti di Panathinaikos e Olimpiacos. 
Tsipras ha deciso quindi di sospendere tutti i campionati delle diverse categorie fino a quando i rappresentanti dei diversi club non saranno in grado di garantire la sicurezza fuori e dentro gli stadi. Uno dei punti di discussione riguarda le normative relative alle telecamere da utilizzare sia dentro che al di fuori degli impianti sportivi, per garantire controllo e sicurezza, sulle quali ancora non c'è un accordo.
Quella di Tsipras è una presa di posizione netta, che farà certamente discutere, anche a seguito delle polemiche relative agli accordi economici con l'UE che hanno messo il premier greco al centro del dibattito pubblico in Grecia. Una decisione che però è anche molto coraggiosa e che sfida apertamente l'anarchia del tifo greco e gli interessi che ruotano attorno al calcio. Decisione che ad esempio non si è presa in Italia a seguito dei vari scandali riguardanti il calcioscommesse, né tantomeno a seguito dell'uccisione di Gabriele Sandri, il tifoso laziale ucciso da un poliziotto nel 2007. 
La sospensione del calcio greco - la terza nel corso di quest'anno e non di certo una scelta inedita nel corso della recente storia del calcio greco - crea un precedente importante nel quale la politica e le istituzioni si schierano apertamente e che difficilmente potrà essere ignorato negli altri campionati europei dalle rispettive Federazioni. Una sospensione che infila i bastoni fra le ruote ai numerosi e spropositati interessi economici che ruotano attorno ad uno sport che sembra assomigliare sempre di meno ad uno sport e sempre di più ad una fonte di guadagno non curante delle regole civili e sportive. A volte nemmeno della vita e della morte. 

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