lunedì 23 settembre 2013

Gianni Riotta a Pordenonelegge.it: << Il web ci rende liberi? >>

Il web ci rende liberi? Questa è la domanda che si è posto Gianni Riotta, scrittore e giornalista, ospite della XIV edizione di Pordenonelegge.it , festa del libro con gli autori. Intervistato da Giovanni Marzini, Riotta ha parlato del suo ultimo libro, Il web ci rende liberi? Politica e vita quotidiana nel mondo digitale, che ha come oggetto d'analisi il rapporto fra web (social network, siti internet, blog ecc.) e la vita quotidiana di ognuno di noi. Che il web sia entrato (prepotentemente?) nella nostra vita, trasformandola radicalmente, è un fatto evidente e innegabile. Sempre di più vediamo individui di ogni età, soprattutto fra i giovani, con smartphone, tablet, pc e altre apparecchiature elettroniche in mano, pronti a navigare su internet condividendo foto e altri contenuti. Condivisioni, soprattutto attraverso i social network (Facebook, Twitter, Google+, LinkedIn ecc.), che portano gli utenti a rinunciare ad una parte della loro privacy, rendendo la sfera pubblica sempre più ampia rispetto a quella privata. E' in atto una vera e propria rivoluzione digitale, sancita da un passaggio, quello dal XX al XXI secolo, che rappresenta la transizione massa-individuo. Questa è, secondo Riotta, la chiave di lettura del successo del web e della sua influenza nella vita di ognuno, in quanto si è passati da una comunicazione di massa ad una comunicazione personalizzata, dovuta alla continua differenziazione degli individui e dei loro interessi. La crisi del giornalismo della carta stampata, non è però dovuta al web, ma alla domanda dell'opinione pubblica al mondo dell'informazione. Se nel Novecento, il secolo delle masse, bastava un solo telegiornale o un solo articolo di giornale a soddisfare il bisogno di informazione della gente, nel secolo dell'individuo ciò non è più sufficiente: la differenziazione degli interessi necessita una pluralità di fonti di informazione in grado di soddisfarli (quasi) tutti. Da qui il successo del web, che grazie alla sua vastità, è in grado di fornire una molteplicità di contenuti, dando voce ai più svariati punti di vista. Non è un caso se televisioni, radio e giornali, abbiano tutte un sito internet e un account sui principali social network: si è creata una vera e propria fusione fra nuovi mezzi di informazione e media tradizionali. "Internet è diventato il nostro modo di interfacciare la realtà. Online è semplicemente il modo attraverso il quale noi, cittadini del XXI secolo, affrontiamo la realtà", sostiene Riotta. Insomma, che si abbia un account o no sui social network o una connessione a internet, siamo tutti online, perché ciò che ci riguarda della vita di ogni giorno viene comunque letto e interpretato anche e soprattutto con gli occhi della Rete. Modello del passaggio dalla comunicazione di massa a quella personalizzata è, per Riotta, la comunicazione di Papa Francesco. Papa Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI rappresentano l'espressione di una comunicazione di massa, dove l'obiettivo era raggiungere una grande quantità di persone: Wojtyla parlava nel periodo della Guerra Fredda e del comunismo sovietico, Ratzinger parlava nel periodo del dibattito sul relativismo. Oggi invece vediamo la massima autorità della Chiesa telefonare alla gente comune, quella gente spesso dimenticata e alle prese coi problemi della vita i quali, in fin dei conti, fanno per primi parte della realtà. Bergoglio non parla alle categorie, ma ai singoli: per lui non ci sono gli omosessuali ma l'omosessuale, non le vedove ma la vedova, non i malati ma il malato. La sua è una comunicazione diretta all'individuo; è una comunicazione personalizzata, motivo del suo successo su Twitter, nonostante non sia lui a scrivere in prima persona. 
In conclusione, il web ci rende liberi o no? Secondo l'autore sì, a patto che nella vita di tutti i giorni si torni a parlare fra persone, attraverso il confronto e il dibattito, altrimenti il web ci renderà schiavi dei poteri, dell'anonimato e del populismo, che non lasciano spazio alla critica ma creano una vera e propria macchina del consenso.

Gianni Riotta fotografa il pubblico di Pordenonelegge.it al teatro Verdi 

lunedì 16 settembre 2013

Calcio e violenza

Sabato 14 settembre 2013, ore 19.45 circa: Orsato fischia la fine di un derby d'Italia attesissimo, che vede affrontarsi un'Inter chiusa e attenta, pronta a pungere al momento giusto, e una Juventus forte dei due anni di supremazia in Italia. Una partita che ha visto sfidarsi due squadre rivali da sempre, dai tempi di Moratti e Agnelli senior, agli attuali Moratti e Agnelli junior, e che ha visto l'apice della rivalità nella vicenda Calciopoli. Fin qui tutto ok, è storia del calcio e sarà in costante aggiornamento. Ma a fianco della rivalità sportiva vive una rivalità violenta, fatta di tifosi (se così li si può chiamare) che del risultato hanno poco interesse: che sia vittoria, sconfitta o pareggio, l'importante è comunque trovare il pretesto di insultarsi e fare a botte. Naturalmente ciò è avvenuto anche nell'ultimo duello sportivo fra nerazzurri e bianconeri. Al pareggio immediato della Juve con Vidal al 75' (due minuti prima Icardi siglava il suo primo gol in nerazzurro portando in vantaggio l'Inter) alcuni tifosi della Curva Nord (il tifo caldo dello stadio, per intenderci) hanno pensato bene di andare a zittire alcuni tifosi juventini esultanti, mischiati fra quelli interisti. Una vera e propria spedizione di catechizzazione del tifoso avversario, della serie: "Tu, a casa mia, non ti devi permettere di esultare e fare casino. Zitto e a cuccia". Premesso che per una partita di tale spessore e rivalità fra le due squadre andare a mischiarsi fra i tifosi avversari non è proprio una mossa intelligente, abbiamo assistito all'ennesimo episodio di stupidità e ignoranza. Naturalmente i cretini ci sono dappertutto nella vita di ogni giorno, al lavoro come allo stadio, e non bisogna fare di tutta un'erba un fascio: per fortuna, solitamente, i cretini sono in minoranza. Sarebbe ora però di dare un taglio a questo modo di vivere e pensare il calcio. Sulla strada di ritorno dallo stadio, ci siamo fermati in autogrill per mangiare, ognuno con la sua maglietta o sciarpa nerazzurra. Dopo una decina di minuti sono entrati alcuni tifosi juventini, anche loro di ritorno dalla partita e quindi anche loro riconoscibili dalle loro maglie e sciarpe. Uno di loro si avvicina e inizia ad urlare "Inter merda, Inter merda", per fortuna non supportato dai suoi compari. Ecco la differenza fra il tifoso intelligente che ha a cuore solo la sua squadra, e il tifoso idiota (per non usare termini più offensivi) che ha invece solo voglia di fare casino. Sarebbe bello poter tenere fuori dagli stadi questi individui, visto che alle partite assistono spesso e volentieri anche famiglie e quindi bambini, che andrebbero tenuti lontani da questi cattivi esempi. Sarebbe bello poter andare allo stadio e vedere la partita assieme, fra tifosi avversari, senza doversi preoccupare di tornare a casa sani e integri. Ma purtroppo è un bel sogno e (per ora) rimarrà tale. Non pensiamo però che questa cose accadano solo in Italia. E' vero che in Inghilterra ci sono leggi severe per chi fa casino allo stadio che portano tali individui a non poterci entrare a vita, ma è anche vero che tali tifoserie "vandale" si danno appuntamento fuori, in parchi o parcheggi, esclusivamente per fare a botte (il film Hooligans ne spiega bene le dinamiche). 
E' un problema serio e grosso, di difficile soluzione: cambiare una mentalità sbagliata è difficile e ci vuole tempo. L'unica cosa da fare è sperare che tale mentalità non prevalga, facendo di tutto per mantenere il gioco del calcio uno sport leale, di educazione e di crescita per i più piccoli, attraverso buoni esempi in grado si smentire quelli cattivi.

Azione di gioco durante Inter-Juventus 1-1