lunedì 23 settembre 2013

Gianni Riotta a Pordenonelegge.it: << Il web ci rende liberi? >>

Il web ci rende liberi? Questa è la domanda che si è posto Gianni Riotta, scrittore e giornalista, ospite della XIV edizione di Pordenonelegge.it , festa del libro con gli autori. Intervistato da Giovanni Marzini, Riotta ha parlato del suo ultimo libro, Il web ci rende liberi? Politica e vita quotidiana nel mondo digitale, che ha come oggetto d'analisi il rapporto fra web (social network, siti internet, blog ecc.) e la vita quotidiana di ognuno di noi. Che il web sia entrato (prepotentemente?) nella nostra vita, trasformandola radicalmente, è un fatto evidente e innegabile. Sempre di più vediamo individui di ogni età, soprattutto fra i giovani, con smartphone, tablet, pc e altre apparecchiature elettroniche in mano, pronti a navigare su internet condividendo foto e altri contenuti. Condivisioni, soprattutto attraverso i social network (Facebook, Twitter, Google+, LinkedIn ecc.), che portano gli utenti a rinunciare ad una parte della loro privacy, rendendo la sfera pubblica sempre più ampia rispetto a quella privata. E' in atto una vera e propria rivoluzione digitale, sancita da un passaggio, quello dal XX al XXI secolo, che rappresenta la transizione massa-individuo. Questa è, secondo Riotta, la chiave di lettura del successo del web e della sua influenza nella vita di ognuno, in quanto si è passati da una comunicazione di massa ad una comunicazione personalizzata, dovuta alla continua differenziazione degli individui e dei loro interessi. La crisi del giornalismo della carta stampata, non è però dovuta al web, ma alla domanda dell'opinione pubblica al mondo dell'informazione. Se nel Novecento, il secolo delle masse, bastava un solo telegiornale o un solo articolo di giornale a soddisfare il bisogno di informazione della gente, nel secolo dell'individuo ciò non è più sufficiente: la differenziazione degli interessi necessita una pluralità di fonti di informazione in grado di soddisfarli (quasi) tutti. Da qui il successo del web, che grazie alla sua vastità, è in grado di fornire una molteplicità di contenuti, dando voce ai più svariati punti di vista. Non è un caso se televisioni, radio e giornali, abbiano tutte un sito internet e un account sui principali social network: si è creata una vera e propria fusione fra nuovi mezzi di informazione e media tradizionali. "Internet è diventato il nostro modo di interfacciare la realtà. Online è semplicemente il modo attraverso il quale noi, cittadini del XXI secolo, affrontiamo la realtà", sostiene Riotta. Insomma, che si abbia un account o no sui social network o una connessione a internet, siamo tutti online, perché ciò che ci riguarda della vita di ogni giorno viene comunque letto e interpretato anche e soprattutto con gli occhi della Rete. Modello del passaggio dalla comunicazione di massa a quella personalizzata è, per Riotta, la comunicazione di Papa Francesco. Papa Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI rappresentano l'espressione di una comunicazione di massa, dove l'obiettivo era raggiungere una grande quantità di persone: Wojtyla parlava nel periodo della Guerra Fredda e del comunismo sovietico, Ratzinger parlava nel periodo del dibattito sul relativismo. Oggi invece vediamo la massima autorità della Chiesa telefonare alla gente comune, quella gente spesso dimenticata e alle prese coi problemi della vita i quali, in fin dei conti, fanno per primi parte della realtà. Bergoglio non parla alle categorie, ma ai singoli: per lui non ci sono gli omosessuali ma l'omosessuale, non le vedove ma la vedova, non i malati ma il malato. La sua è una comunicazione diretta all'individuo; è una comunicazione personalizzata, motivo del suo successo su Twitter, nonostante non sia lui a scrivere in prima persona. 
In conclusione, il web ci rende liberi o no? Secondo l'autore sì, a patto che nella vita di tutti i giorni si torni a parlare fra persone, attraverso il confronto e il dibattito, altrimenti il web ci renderà schiavi dei poteri, dell'anonimato e del populismo, che non lasciano spazio alla critica ma creano una vera e propria macchina del consenso.

Gianni Riotta fotografa il pubblico di Pordenonelegge.it al teatro Verdi 

lunedì 16 settembre 2013

Calcio e violenza

Sabato 14 settembre 2013, ore 19.45 circa: Orsato fischia la fine di un derby d'Italia attesissimo, che vede affrontarsi un'Inter chiusa e attenta, pronta a pungere al momento giusto, e una Juventus forte dei due anni di supremazia in Italia. Una partita che ha visto sfidarsi due squadre rivali da sempre, dai tempi di Moratti e Agnelli senior, agli attuali Moratti e Agnelli junior, e che ha visto l'apice della rivalità nella vicenda Calciopoli. Fin qui tutto ok, è storia del calcio e sarà in costante aggiornamento. Ma a fianco della rivalità sportiva vive una rivalità violenta, fatta di tifosi (se così li si può chiamare) che del risultato hanno poco interesse: che sia vittoria, sconfitta o pareggio, l'importante è comunque trovare il pretesto di insultarsi e fare a botte. Naturalmente ciò è avvenuto anche nell'ultimo duello sportivo fra nerazzurri e bianconeri. Al pareggio immediato della Juve con Vidal al 75' (due minuti prima Icardi siglava il suo primo gol in nerazzurro portando in vantaggio l'Inter) alcuni tifosi della Curva Nord (il tifo caldo dello stadio, per intenderci) hanno pensato bene di andare a zittire alcuni tifosi juventini esultanti, mischiati fra quelli interisti. Una vera e propria spedizione di catechizzazione del tifoso avversario, della serie: "Tu, a casa mia, non ti devi permettere di esultare e fare casino. Zitto e a cuccia". Premesso che per una partita di tale spessore e rivalità fra le due squadre andare a mischiarsi fra i tifosi avversari non è proprio una mossa intelligente, abbiamo assistito all'ennesimo episodio di stupidità e ignoranza. Naturalmente i cretini ci sono dappertutto nella vita di ogni giorno, al lavoro come allo stadio, e non bisogna fare di tutta un'erba un fascio: per fortuna, solitamente, i cretini sono in minoranza. Sarebbe ora però di dare un taglio a questo modo di vivere e pensare il calcio. Sulla strada di ritorno dallo stadio, ci siamo fermati in autogrill per mangiare, ognuno con la sua maglietta o sciarpa nerazzurra. Dopo una decina di minuti sono entrati alcuni tifosi juventini, anche loro di ritorno dalla partita e quindi anche loro riconoscibili dalle loro maglie e sciarpe. Uno di loro si avvicina e inizia ad urlare "Inter merda, Inter merda", per fortuna non supportato dai suoi compari. Ecco la differenza fra il tifoso intelligente che ha a cuore solo la sua squadra, e il tifoso idiota (per non usare termini più offensivi) che ha invece solo voglia di fare casino. Sarebbe bello poter tenere fuori dagli stadi questi individui, visto che alle partite assistono spesso e volentieri anche famiglie e quindi bambini, che andrebbero tenuti lontani da questi cattivi esempi. Sarebbe bello poter andare allo stadio e vedere la partita assieme, fra tifosi avversari, senza doversi preoccupare di tornare a casa sani e integri. Ma purtroppo è un bel sogno e (per ora) rimarrà tale. Non pensiamo però che questa cose accadano solo in Italia. E' vero che in Inghilterra ci sono leggi severe per chi fa casino allo stadio che portano tali individui a non poterci entrare a vita, ma è anche vero che tali tifoserie "vandale" si danno appuntamento fuori, in parchi o parcheggi, esclusivamente per fare a botte (il film Hooligans ne spiega bene le dinamiche). 
E' un problema serio e grosso, di difficile soluzione: cambiare una mentalità sbagliata è difficile e ci vuole tempo. L'unica cosa da fare è sperare che tale mentalità non prevalga, facendo di tutto per mantenere il gioco del calcio uno sport leale, di educazione e di crescita per i più piccoli, attraverso buoni esempi in grado si smentire quelli cattivi.

Azione di gioco durante Inter-Juventus 1-1 

mercoledì 28 agosto 2013

Martin Luther King: la forza di amare di un uomo

28 agosto 1963-28 agosto 2013. Sono passati cinquant'anni da quell'ormai storico giorno in cui un pastore protestante dalla pelle nera incitò, di fronte a duecentocinquantamila persone riunitesi per la Grande Marcia a Washington, all'uguaglianza fra gli uomini e alla libertà. "I have a dream", fu la sintesi di quel discorso e la celebre frase che ne divenne l'icona, la quale fece passare Martin Luther King come simbolo della non violenza nella lotta (pacifica) ai diritti civili. Un discorso eroico, diretto e carico di un sano sentimento di speranza in un futuro migliore, più equo e giusto, soprattutto nei confronti di una comunità, quella nera, disprezzata e discriminata dall'uomo-bestia. Già, l'uomo-bestia. Come chiamare una persona che disprezza e discrimina un suo simile? Può, tale persona, essere definita Uomo? No, assolutamente. Chi non è in grado di riconoscere sé stesso nel prossimo, emarginandolo per la sua diversità, sia essa il colore della pelle, la razza o il sesso, non merita di essere chiamato Uomo. Chi non è in grado di ragionare con la propria testa e il proprio cuore, lasciando spazio al pregiudizio discriminatorio, si fa guidare dall'istinto più disordinato, tipico delle bestie. Il sogno di M.L.King era infatti di rendere tutte le persone degli uomini veri, liberandoli dalla condizione di bestia e quindi, dal pregiudizio, uno dei mali più grandi della società. Pregiudizio che ancora serpeggia con il suo odio e il suo rancore, imprigionando l'uomo e la società alle catene del rancore e della lotta al potere e al denaro, fomentando invidie e gelosie. E' un male che non verrà mai sconfitto del tutto, ma che non deve a sua volta intaccare la speranza e la solidarietà fra gli uomini, in una società sempre più piegata dalla crisi economica e morale, dalla tristezza e dalla rassegnazione. Il sogno che ha tenuto vivo M.L.King nella sua lotta per i diritti civili dei neri, deve esserci da esempio oggi, così come deve esserci da esempio la sua determinazione nel perseguirlo. Questo sogno ha tenuto in vita King anche dopo la sua morte, avvenuta nel 1968 a Memphis in un agguato. La forza di questo sogno ha permesso che a cinquant'anni di distanza le sue parole riecheggino forti nella nostra società e che la speranza di un mondo più fraterno non si trasformasse in un'utopia ma in una realtà. Quello che era il sogno di King è oggi la realtà dell'America, guidata da un Presidente nero, il quale stasera terrà un discorso nello stesso luogo che ospitò l'energia delle parole del reverendo protestante, il Lincoln Memorial di Washington. Ora, quello che dobbiamo chiederci, sinceramente e in piena coscienza, è: Have I a dream? Solo attraverso i sogni e il perseguimento della loro realizzazione possiamo tenerci in vita. Solo i sogni e la volontà di trasformarli in obiettivi concreti ci permetteranno di vivere in una società libera dal pregiudizio nei confronti di un Ministro dalla pelle nera, dall'ignoranza degli ululati razzisti negli stadi e dalla paura dello straniero. M.L.King era un uomo semplice, il cui obiettivo era la realizzazione di un sogno non solo suo, ma di tutta una comunità, le cui uniche armi di realizzazione erano il rispetto del prossimo e una grande forza di volontà. Era un uomo onesto, che alle ingiustizie della discriminazione non ha risposto con la vendetta, ma con la "forza di amare". Un solo uomo non può cambiare il mondo, ma può dare l'esempio su come farlo.


martedì 27 agosto 2013

Partito di lagnosi

Dopo la sentenza del primo di agosto, nella quale Berlusconi veniva condannato in via definitiva per frode fiscale nel processo Mediaset, molti avranno pensato, esultanti: "Beh, finalmente una condanna definitiva! Adesso si potrà finalmente incominciare a parlare dei problemi seri di questo Paese". Aspettativa, questa, fortemente delusa. Dal giorno stesso dell'emissione della sentenza, non si è fatto altro che parlare, su giornali, blog, telegiornali e social network, di Berlusconi e della condanna. Ma cosa ancora più grave, tale argomento è divenuto l'unico ed essenziale problema della classe politica italiana. Politici, giuristi, giornalisti, opinionisti ed esperti di chissà cosa, si stanno ancora scontrando sulla interpretazione della sentenza e delle leggi che la dovrebbero applicare. Il PdL, che più che Popolo della Libertà sembra essere diventato Popolo (e partito) di Lagnosi, non ha perso tempo a minacciare la caduta del Governo Letta attraverso i soliti ricatti: "O non si vota la decadenza di Berlusconi da Senatore, o il Governo cade". Sembra quasi di essere alle partite di calcio all'oratorio, dove il bambino scarso, che non viene scelto nella formazione delle squadre, prende in ostaggio il pallone non facendo giocare gli altri. Questa è, indubbiamente, una enorme mancanza di rispetto non solo per la Politica con la P maiuscola, ossia quell'arena di discussione e confronto su tematiche di interesse generale, ma anche e soprattutto nei confronti di un Paese chiamato Italia e dei suoi cittadini, i quali arrancano ad arrivare a fine mese, suicidandosi nei casi più disperati. E' una enorme mancanza di rispetto nei confronti di un Paese che vede i giovani disoccupati, senza una prospettiva seria per il futuro, mentre i fortunati che ce l'hanno fatta a studiare scappano all'estero, facendo la fortuna di Germania, Francia, Inghilterra e compagnia bella. Viene da pensare, ancora una volta, che questa classe politica abbia a cuore soltanto degli interessi particolari, ad personam. Nel resto delle democrazie dell'Europa e del mondo, chi ricopre un incarico pubblico (il che significa essere eletti per dare rappresentanza ad altri, non a sé stessi) ha il buon senso di dimettersi anche soltanto per essere sospettati di un reato. Perché? Perché per ricoprire un incarico pubblico e svolgerlo nel migliore dei modi, bisogna lasciare da parte le questioni personali al fine di perseguire al meglio l'interesse generale. E' inutile sottolineare come ciò non sia stato fatto negli ultimi vent'anni in Italia. Ma la cosa ancora più grave è usare i cittadini come strumento per i propri interessi. Non dimettersi in nome dei propri elettori e del loro bene è una grossa offesa alla legge, alla giustizia, alle istituzioni e alla democrazia, in quanto per ogni elettore ce ne è almeno un altro che ha votato per un altro partito e la pensa diversamente. Almeno per ora, fino a caso contrario, viviamo in una società pluralista nelle opinioni. Negli ultimi giorni Alfano ha dichiarato che "la decadenza di Silvio Berlusconi dalla carica di Senatore è impensabile e Costituzionalmente inaccettabile". E in base a cosa lo sarebbe? Per caso Berlusconi è un cittadino diverso da Mario Rossi o Mario Bianchi? Fino a prova contraria viviamo in un Paese dove "La legge è uguale per tutti" e la grazia non è un atto dovuto a nessuno. E' allora per caso un Superuomo nicciano senza il quale l'Italia rischia di andare a rotoli? Gli ultimi vent'anni di false promesse e speranze illusorie hanno dimostrato il contrario. Per quale motivo, allora, tale decadenza sarebbe inaccettabile? (da leggere, a proposito, il fact checking di Pagella Politica). 
Sarebbe ora che questo Paese diventi finalmente un Paese veramente libero, dai ricatti, e democratico, nell'informazione e nel decision making, dove la legge sia veramente uguale per tutti (leggere L'Amaca di Michele Serra su Repubblica del 25 agosto 2013).Gli interessi di un singolo, attorno al quale ruota un intero partito di sudditi e servitori pronti a negare la realtà e l'evidenza dei fatti (basti pensare alla diffusa convinzione che una certa Ruby fosse davvero la nipote di Mubarak), non possono essere anche gli interessi di un Paese intero.
Di questo passo arriverà il giorno in cui rimpiangeremo tutti gli anni persi a parlare del nulla, ipnotizzati da questa inspiegabile e paradossale pazzia (leggere L'Amaca di Michele Serra su Repubblica del 24 agosto 2013). 




giovedì 11 luglio 2013

Bergoglio, vero uomo prima che Papa!

Jorge Mario Bergoglio, in arte Papa Francesco, ha rivoluzionato, con la sua elezione, la vita e il modo di viverla degli uomini, credenti e non credenti, ma soprattutto della Chiesa stessa. Dal momento in cui si è affacciato su piazza San Pietro a Roma, il 13 marzo 2013, dando inizio al suo Pontificato, qualcosa è cambiato. Nella fatica quotidiana di ogni uomo e e di ogni famiglia all'interno della nostra società, segnata da una profonda crisi morale, politica ed economica, è rientrata una compagna importante, troppo spesso trascurata e ignorata: la speranza. Quella speranza che tiene l'uomo in piedi di fronte alla difficoltà e che porta alla serenità che deve riempire ogni cristiano: "Non siate uomini e donne tristi. E per favore, non fatevi rubare la speranza!" 
 Bergoglio è prima di ogni cosa un portatore di speranza, attraverso la sua apertura verso il prossimo e la sua capacità di donarsi gratuitamente, essendo così egli stesso messaggio vivo e concreto del Vangelo. La sua arma è il sorriso, che avvicina la gente riducendo le distanze che hanno caratterizzato la Chiesa negli ultimi anni, dovute alla fatica del predecessore Benedetto XVI di portare avanti un Pontificato difficile, segnato e minacciato da chi, all'interno del Vaticano, ha interessi politici ed economici. Distanze che segnano inoltre il rapporto fra i cittadini e la politica, sempre più un gioco di potere e di èlite che sempre meno si occupa dei problemi della gente. Papa Francesco ha dato un segnale forte dal punto di vista umano ma anche dal punto di vista politico, come dimostra la sua fermezza nel voler sistemare le vicende legate allo Ior e l'invito ai consacrati di liberarsi dai beni terreni e materiali per vivere il vero messaggio del Vangelo: la ricerca di Dio nel più debole e nel povero. Non a caso la sua recente visita a Lampedusa è l'emblema di questa attenzione per i disagiati e i dimenticati, sempre più sommersi dall'indifferenza di un mondo distratto dalla ricchezza, dall'apparenza e dal consumismo, che sfociano nella globalizzazione dell'indifferenza
L'inizio del suo Pontificato è stato una ventata di aria fresca, che ha, almeno per il momento, dato nuove energie alla Chiesa e ai fedeli, in un periodo difficile non solo economicamente, ma anche moralmente, dove la società, sempre più secolarizzata e sfiduciata, ha perso valori e punti di riferimento. Bergoglio, da bravo comunicatore, rappresenta il modello del vero cristiano, attento al prossimo e sereno anche nella sofferenza, portando Dio in ogni luogo e situazione, specialmente a chi è smarrito. Con la sua gioia e la sua semplicità dimostra che un'alternativa alla sofferenza e alla tristezza c'è, ed è la speranza in Dio. Con la sua gioia e il suo sorriso, Papa Francesco si dimostra un modello ed un esempio da seguire per tutti gli uomini, siano essi credenti o meno, che vogliono migliorare la società in cui vivono ed il mondo. Francesco (nome emblematico per tale modello) si dimostra, prima che un grande Pontefice, un vero uomo. 


lunedì 3 giugno 2013

TELEVISIONE: BUONA O CATTIVA?

La televisione ha cambiato profondamente la vita dell'uomo, sia individualmente che nelle relazioni sociali. Gli aspetti della vita nei quali interagisce sono molteplici e riconducibili ai tipi di programmi forniti nei palinsesti: intrattenimento, sport, svago, informazione, cultura. Ogni tipo di pubblico può essere raggiunto e trovare soddisfatti i suoi interessi, attraverso contenuti approfonditi e curati nel minimo dettaglio: dall'evento sportivo che riunisce famiglie e gruppi di amici, al telegiornale che fornisce informazioni su come va il mondo, passando per il film che mette tutti comodi e rilassati sul divano. La televisione è entrata nella vita dell'uomo regolando spesso i suoi ritmi e influenzando un aspetto fondamentale: il tempo libero. La maggior parte dei programmi è ideata per occupare questo tempo, libero da impegni lavorativi e scolastici: la sua funzione è quella di essere compagna e amica dell'individuo, una via di scampo dalla noia, dal non sapere cosa fare. Ma molto spesso la televisione non è un'amica affidabile: facendo compagnia all'individuo nel suo tempo libero  lo rende nella maggior parte dei casi ricettore passivo di pubblicità e messaggi manipolati ad hoc. Non a caso la televisione è stato uno dei mezzi di comunicazione sui quali si è aperto un acceso dibattito, riguardante il suo ruolo sociale e la sua influenza. Karl Popper, filosofo politico liberale, l'ha definita cattiva maestra, a causa della sua funzione pedagogica ed educativa intrinseca nella sua natura. Funzione educativa che però è inconsapevole, sostiene Popper, in quanto essendo uno strumento commerciale, il cui obiettivo è il profitto attraverso l'audiance, la televisione non tende all'educazione degli individui, e dei bambini in particolare, ma è schiava delle logiche del business che generano violenza e antepongono i valori commerciali a quelli morali. Popper propone un antidoto al veleno della tv: l'istituzione di una patente per tutti gli individui impegnati nel sistema televisivo, dall'editore al produttore, dal regista all'attore, dal direttore al giornalista, fino al cameraman e agli addetti ai lavori. Patente che serve a certificare l'idoneità a lavorare nel sistema televisivo, che attraverso contenuti e informazioni genera educazione. Così come è necessaria una patente per chi guida, deve essere lo stesso anche per chi opera nel settore televisivo, in quanto si è responsabili dell'incolumità e della salute altrui. Popper sviluppa il suo pensiero su quello di John Condry, scrittore e filosofo statunitense che definisce la tv ladra di tempo e serva infedele, a causa del suo unico obiettivo commerciale: il profitto attraverso la pubblicità. Condry sottolinea come la tv sia anche bugiarda, in quanto soggetta a manipolazioni nei suoi contenuti e nei suoi messaggi, distorcendo la realtà dei fatti. Ma la tv genera distorsioni della realtà anche influenzando negativamente i bambini, i quali, a differenza degli adulti, non sono in grado di distinguere la realtà dalla finzione, e quindi sono più inclini alla persuasione televisiva. I cartoni animati, ad esempio, sono definiti da Condry delle vicende di potere, in quanto viene trasmesso il messaggio che chi è più forte può ottenere ciò che vuole. Ed ecco che attraverso queste vicende di potere la televisione entra in contatto col potere politico, diventandone strumento di diffusione: la politica usa la televisione in particolare per raggiungere gli elettori grazie alla sua capacità di raggiungimento esteso e alla sua capacità di rendere passivi i telespettatori, i quali devono solo ascoltare senza compiere sforzi. Il politico che partecipa ad una trasmissione o concede un'intervista televisiva può concordare le domande col giornalista, indirizzandolo attraverso il suo discorso nei punti a lui più convenevoli. Esemplare è l'entrata in politica di Silvio Berlusconi, che nel 1994 annunciò il suo impegno politico con Forza Italia attraverso un video registrato nel suo studio e trasmesso poi in televisione. Curioso come Berlusconi sia, prima che un politico, il proprietario della più grande televisione privata italiana, Mediaset. Il rapporto tra televisione e potere è quindi innegabile ed evidente, non a caso il conflitto di interessi è uno dei temi più caldi non solo della politica italiana, ma della politica in generale: qualsiasi Paese che non controlli il potere della televisione, non può essere abitato da una società libera e democratica, parafrasando il già citato Popper (Cattiva maestra televisione, K.Popper, Marsilio Editori, 2002).
La televisione potrebbe essere criticata, osannata ed analizzata per altre molteplici questioni, dal pensiero di McLuhan (media caldi e media freddi) fino a quello di Sartori (immagine come fonte generatrice dell'homo videns), ma il punto centrale è la necessità di una sua regolamentazione, oltre che normativa, nell'utilizzo. Non si può negare che la tv abbia anche degli aspetti positivi, come ad esempio il contributo all'alfabetizzazione della società italiana negli anni Cinquanta e Sessanta (vedere l'importanza in tal senso della trasmissione Non è mai troppo tardi condotta da Alberto Manzi), i quai però sono tali solo se sviluppati con responsabilità e coscienza. Come sostenuto da Papa Giovanni Paolo II, non bisogna utilizzare la tv come una bambinaia elettronica: i genitori non devono trascurare i loro compiti di educatori, e soprattutto devono controllare cosa guardano i propri figli. Interessante è come il Papa abbia visto nella tv anche un possibile mezzo di evangelizzazione, a patto della ricerca di una informazione sana, onesta e tendente al bene e alla verità. Insomma, se utilizzata bene, la tv può essere uno strumento costruttivo; se usata male, può creare danni enormi. Sarebbe quindi opportuno ascoltare il consiglio di Giovanni Paolo II, ossia spegnere la televisione quando questa non serve o fa del male, " [...] per amore dei nostri figli".

domenica 2 giugno 2013

SOCIETA' 2.0

Nell'era della banda larga e delle connettività veloci le nostre vite si stanno adattando alle esigenze e alle caratteristiche delle nuove tecnologie. Computer, tablet, smartphone e compagnia bella sono ormai parte integrante del nostro modo di vivere. Il telefonino non solo è uno strumento in possesso di tutti, ma si è evoluto nel mini computer che ti permette di accedere a contenuti su internet, condividerli ed elaborarli istantaneamente in qualsiasi momento e da qualsiasi luogo: telefonare e mandare messaggi sono quasi diventate azioni preistoriche, tanto ci si può chiamare su Skype e mandare messaggi con WhatsApp. Insomma, è tutto in continua evoluzione e anche noi, di conseguenza, ci evolviamo costantemente. La domanda da porsi è: in bene o in male? Difficile dare un giudizio esatto. Bisognerebbe valutare pregi e difetti e tirare le somme, ma ognuno interpreterebbe la questione comunque secondo il suo punto di vista. Per alcuni il telefonino e le apparecchiature elettroniche sono vitali, chi per lavoro, chi per svago. 
Ma questo non è certamente un bene: da un lato per i danni alla salute ai quali si può andare incontro, come ben documentato  dalle Ienedall'altro perché si rischia di diventarne schiavi: ore e ore passate davanti al pc o attaccati al telefonino che si trasformano in giorni, mesi e anni; tutto tempo che poteva essere, nella maggior parte dei casi, utilizzato meglio. Basta dare un'occhiata alle persone nei luoghi pubblici, dai bar ai ristoranti, dal teatro al cinema: la maggior parte è occupata su Facebook, a giocare col cellulare o a cercare contenuti inutili su internet per passare il tempo, ad esempio durante l'intervallo di un film. E se invece di pigiare tasti e strisciare dita su uno schermo ci facessimo una bella chiacchierata col vicino di poltrona al cinema? L'interazione verbale e la comunicazione diretta, concreta e tangibile sono alla base dell'instaurazione di relazioni vere, cosa che non possono fare nessuna chat e nessun commento sui social media, che al massimo possono dar luogo a relazioni interattive e non tangibili. Che poi, c'è da dirlo, uscire con gli amici e farsi gli affari propri col cellulare, non è neanche tanto educato. Il colmo è pagare il biglietto per vedere un film e passare il tempo a cazzeggiare su Facebook: la sala del cinema si trasforma in un panoramico flusso di luci nel buio. Tanto valeva rimanere a casa e risparmiarsi i soldi, no? 
Naturalmente è inutile demonizzare la tecnologia, che senza ombra di dubbio ci permette di migliorare la qualità della nostra vita in diversi aspetti, come 
e-government e e-democracy ci dimostrano. Basti pensare soltanto all'enorme capacità comunicativa della quale disponiamo, che ci permette di comunicare con chiunque, in qualsiasi momento a prescindere da qualsiasi distanza. 
Allora la risposta a questo problema può essere sintetizzata così: bisogna imparare ad usare la tecnologia con responsabilità, senza diventarne schiavi. Lo sviluppo della nostra personalità può avvenire solo attraverso interazioni reali, il resto è una maschera costruita ad hoc per essere accettati dalla società. 

venerdì 31 maggio 2013

TORNIAMO A LEGGERE!

Gli italiani non leggono più, e se lo fanno mediamente non leggono più di tre libri in un anno. Questo è il resoconto dell’ultima analisi Istat sulla produzione e lettura di libri. Ma quali sono le cause di questi dati certamente non incoraggianti? Molti sono gli ostacoli alla lettura: la mancanza di efficaci politiche scolastiche di educazione alla lettura, il sostegno inadeguato alla piccola editoria, e i bassi livelli culturali della popolazione. Ma bisogna considerare anche fattori di natura sociale, economica e territoriale. Per quanto riguarda i primi c’è da sottolineare una forte differenza di genere: le donne leggono più degli uomini (51,9 % contro il 39,7 %), oltre al fatto che una famiglia su dieci dichiara di non avere neanche un libro in casa. Per quanto riguarda i fattori economici, un lettore su tre vive in famiglie con scarse risorse economiche (non a caso stanno avendo ampio successo le edizioni economiche). Ma anche i fattori territoriali hanno il loro peso nella questione: in Italia al Nord si legge molto di più che al Centro e al Sud. Insomma, l’Italia è caratterizzata da forti disuguaglianze sociali, economiche e territoriali che portano una persona su due a definirsi un non lettore e quasi la metà dei lettori a leggere al massimo tre libri in un anno. Il livello di scolarizzazione incide notevolmente nella definizione dei non lettori (69,6% di chi possiede al più la licenza elementare non ha letto nemmeno un libro, contro il 17,9 % dei laureati), oltre l’ampiezza dei comuni di residenza, dove chi abita in periferia è meno propenso a leggere rispetto a chi abita in un’area metropolitana. Il risultato è che la produzione libraria entra in crisi e deve far fronte alla diminuzione di libri pubblicati. Per attrarre i lettori si punta sulle novità, che vede l’emergere dei best seller e degli istant book, in grado di raggiungere un grande successo commerciale nel breve periodo grazie alla pubblicità sui mass media e alla rapida produzione del libro. Ma la crescita dei lettori resta comunque lenta e modesta. Quali possono essere le strategie da adottare per mettere in mano alle persone un buon libro? E’ importante educare fin da piccoli i propri figli alla lettura, non lasciandoli troppo tempo davanti alla televisione. Questo deve essere compito dei genitori (dalle statistiche emerge che avere genitori lettori incoraggia la lettura) e della scuola (i bassi livelli culturali della popolazione sono conseguenza anche di un sistema scolastico non all’altezza: per questo sono necessarie e auspicabili iniziative scolastiche e culturali che coinvolgano i bambini, ma anche gli adulti). Sicuramente un bambino abituato a leggere avrà più probabilità di diventare un lettore da adulto piuttosto di uno che non legge, in quanto farà parte della sua formazione e del suo modo di informarsi. In questo senso significativo è il fatto che più si va avanti con l’età più aumenta la percentuale dei non lettori (74,8 % fra gli over 75). Un altro terreno sul quale bisogna lavorare è la lotta alla sempre più marcata differenziazione culturale fra Nord e Sud, a discapito di quest’ultimo: i non lettori emergono notevolmente al Sud (65,3 %), in particolare in Puglia (67,5 %) e in Campania (66,6 %), mentre al Nord troviamo una situazione meno grave: 43 % di non lettori e percentuali basse in Trentino Alto Adige (39,1 %), Valle d’Aosta (41,8 %) e Veneto (42,4 %), rispetto al resto del Paese. Internet può essere uno strumento per invogliare le persone a leggere riviste, giornali e news online: nell’era del web 2.0 lo smartphone è diventato uno strumento d’uso comune, accessibile alla maggior parte della popolazione, a parte quella più vecchia legata ancora ai giornali e ai media tradizionali. Sono infatti oltre 700mila le persone che leggono libri online o e-book su dispositivi mobile, in linea con la media europea (46, 1 % contro il 50 % europeo): significativo è il fatto che un giovane su tre fra i non lettori legge news, giornali o riviste online. Nell’ottica della banda larga e delle connessioni veloci il libro si sta sempre più digitalizzando. Ma c’è ancora chi rimane affezionato alla cara vecchia carta stampata: per non farli diventare una razza in via d’estinzione, basta promuovere più iniziative culturali nelle scuole e stare attenti all’educazione alla lettura dei propri figli, magari regalando loro un buon libro assieme allo smartphone di ultima generazione.  

Dati Istat: 

CRITICA E AUTOCRITICA

La società d'oggi è sempre più complessa e disordinata. Ognuno va nella direzione che più gli piace e che meglio tutela i suoi interessi e i suoi affari. "Beh, mi pare ovvio! Che male c'è a fare i propri interessi e a curarsi i propri affari? Lo fanno tutti, nessuno fa niente per niente". Questa è la giustificazione più ovvia e semplice da apporre al problema, e per certi punti di vista, niente da dire, chapeau
Il problema però è che molto spesso, anzi, troppo spesso, i nostri affari entrano in conflitto con quelli di qualcun altro e sarebbe auspicabile che a risolvere tali conflitti non sia alcuna legge del far west dove chi spara per primo e ammazza l'altro ha ragione e tutti felici e contenti. La nostra società, democratica (?), dovrebbe avere come principio guida un dibattito sano e costruttivo, dove si è liberi di pensarla diversamente e di esprimere le proprie opinioni, ma pur sempre nel rispetto dell'altro, cercando il confronto. E invece sembra che ormai la ragione appartenga a chi urla e sbraita di più, dando spettacolo e instupidendo le persone. Dite di no? Beh, i vari talk show e programmi televisivi, di natura politica o di semplice intrattenimento, ne sono l'esempio: il dibattito si è ridotto ad una sorta di Processo di Biscardi dove ognuno dice la sua parlando sopra l'altro, interrompendo, non rispettando i tempi e alzando la voce a più non posso. Risultato? Non si capisce niente. Per non parlare della politica e dei politici! Alcuni comizi sembrano delle adunate dove la folla assiste inebetita alle urla di sdegno del sommo capo che vuole stanare gli avversari dalla loro casta, col finire semplicemente nel farne a sua volta parte gettando tanto fumo negli occhi. 
Nella nostra società manca essenzialmente una cosa, anzi due: una critica costruttiva ma soprattutto, capacità di autocritica! Pochissime persone hanno interesse ad ammettere i propri errori quando c'è da farlo, soprattutto nella classe politica. Il politico ormai deve avere un'immagine perfetta, funzionale alla raccolta di voti per il raggiungimento del consenso e della poltrona. Ammettere i propri errori è un atto di umiltà che ormai può diventare la tua condanna. E sulla scia di questo modello anche i cittadini si sentono giustificati nel fare quello che vogliono: "Evadere le tasse? Certo che lo faccio! La politica ruba a me? Io rubo a loro!". Conseguenza? Tutti stiamo peggio. Insomma nessuno sbaglia, nessuno deve chiedere scusa, si fa solo quello che conviene e se per caso fai un danno a qualcuno, beh, è il mondo che gira così! 
L'espressione I may be wrong tanto cara a Karl Popper è ormai un'utopia, una perla in mano a pochi intenditori della questione. Quasi tutti si ritengono infallibili, sicuri di essere dalla parte della ragione: non c'è bisogno di autocritica nè tantomeno di un esame di coscienza. Sono cose per deboli. 
Ma l'infallibilismo, diceva Popper, è per gente noiosa e, aggiungo io, presuntuosa. 
A volte sarebbe bene fermarsi un attimo e revisionare il tutto, criticandoci.