martedì 10 maggio 2016

BRAND JOURNALISM: AZIENDE E BRAND FRA COMUNICAZIONE E INFORMAZIONE

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“Chi fa comunicazione aziendale non fa giornalismo”. Una frase sintetica ma piena di significato quella pronunciata da Marco Bardazzi (@marcobardazzi), direttore della comunicazione esterna di Eni, lo scorso 3 maggio durante l’incontro La comunicazione è una bella storia. Il cane a sei zampe nell’era digitale, tenutosi in Cattolica presso la sede di Largo Gemelli. 

Bardazzi è stato protagonista del racconto della comunicazione del colosso energetico illustrando quelli che sono i cardini di un nuovo modo di comunicare (e fare comunicazione) nell’era del web 2.0 e dei contenuti condivisi. Filo rosso di questa comunicazione è lo storytelling, strumento utile non solo per raccontare storie ma soprattutto per produrre contenuti attorno ai quali creare una community a cui parlare. Creare valore, fiducia e fidelizzazione con il cliente/utente è l’obiettivo che muove oggi le aziende e la loro comunicazione in questo senso viene sempre più ad intrecciarsi con il fare informazione tipico del giornalismo. Ma, come detto all’inizio di questo post, la comunicazione aziendale non è giornalismo. Quindi com’è che queste due realtà interagiscono fra loro? La risposta sta in quello che viene chiamato brand journalism

Dare una definizione precisa di brand journalism è probabilmente impossibile, dato il continuo mutamento del settore digital. Ma è sicuramente utile partire da alcune parole chiave: brand, giornalismo, content, informazioni. Per capire cosa sia il brand journalism si può partire da quello che è il suo obiettivo: essere fonte per il pubblico di riferimento di un’azienda. Il brand crea contenuti da fornire al proprio pubblico attraverso la “comunicazione narrata” dello storytelling per trasmettere informazioni in maniera disintermediata e indipendente. Si crea così un processo di self-building reputation evitando il pericolo che la propria reputazione sia esclusivamente nelle mani dei mezzi di informazione tradizionali e terze parti. 

Rimanendo nell’universo Eni è esemplare il caso Eni vs Report, che ha visto l’azienda sapersi (magistralmente) difendere dall’inchiesta giornalistica del programma condotto da Milena Gabanelli (tempo fa ne avevo parlato in questo post sul blog The Bottom Up). Il brand journalism permette quindi all’azienda di produrre contenuti non solo in grado di creare awareness ma anche in grado di essere strumenti per gestire casi di crisis management e brand reputation. In questo senso i metodi tipici del mondo giornalistico nel reperire fonti e informazioni vengono sfruttati dall’azienda per divenire punto di riferimento per il proprio pubblico di riferimento creando un rapporto diretto con il cliente/utente in maniera disintermediata e per parlare direttamente con i propri stakeholders. Nel caso specifico di Eni il background giornalistico di Bardazzi - che ha lavorato a La Stampa e all’ANSA - così come quello di Daniele Chieffi (@DanieleChieffi) - attualmente Head of Web Media Relations, Social Media management and Reputation Monitoring Eni con un passato al quotidiano La Repubblica - sono stati quel valore in più che ha permesso all’azienda di sapersi raccontare in un contesto mediatico di crisi, fornendo contenuti ben strutturati su Twitter e sul proprio sito creando una narrazione alternativa, coerente e di risposta a quella di Report. 

Sempre rimanendo in Eni, un altro esempio di brand journalism e di creazione di contenuti è stato il “buongiorno” quotidiano dato da Chieffi nelle cinque giornate del Festival Internazionale del Giornalismo, consueto appuntamento che si tiene ogni anno a Perugia nel mese di aprile. Numeri, curiosità e andamenti del Festival sono stati snocciolati in brevi video da Eni (in collaborazione con l’agenzia di comunicazione Doing), con tanto di interviste ad esperti del settore per approfondire quello che è oggi il rapporto fra comunicazione e informazione. Un esempio di storytelling ribattezzato #energytelling e veicolato attraverso i canali social di Eni e la piattaforma di storytelling Eniday



Ricapitolando nella comunicazione 2.0 il brand journalism permette quindi alle aziende di essere un punto di riferimento per il proprio pubblico di utenti e di stakeholders, verso i quali vengono prodotti contenuti che possano essere di valore. Quello che cambia rispetto al giornalismo puro è il ruolo: le aziende non possono (e non devono) essere dei watchdogs ma dei player che informano su ciò che le riguarda, diventando in qualche modo editori di sé stessi. Sta cambiando quindi la comunicazione aziendale e il modo di rapportarsi all’esterno verso portatori di interessi, clienti e media tradizionali mainstream, con i brand che hanno in questo senso uno spazio sempre maggiore per raccontarsi e trasmettere il proprio valore e il proprio punto di vista  attraverso gli strumenti del giornalismo e dello storytelling


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