giovedì 2 novembre 2017

LA PERSECUZIONE DEI ROHINGYA

"Centinaia di donne stanno in piedi nel fiume con i fucili puntati addosso e l'ordine di non muoversi. Un gruppo di soldati si avvicina a una ragazza minuta, Rajuma, con l'acqua fino alla vita e il suo neonato tra le braccia. 'Tu', le fanno i militari. Lei si blocca. Stringe il bambino ancora più forte. Nei minuti successivi, violenti e confusi, i soldati colpiscono Rajuma sul volto, le strappano il figlio dalle braccia e lo gettano tra le fiamme. Poi la portano in una casa e la stuprano". 

Rajuma è una rohingya e la sua storia è stata raccolta da Jeffrey Gettleman, giornalista del New York Times. Sta cercando di attraversare il fiume Naf per raggiungere uno dei campi profughi in Bangladesh. Fugge dalla Birmania, dove le violenze dell'esercito stanno portando avanti una vera e propria pulizia etnica nei confronti di una minoranza per niente riconosciuta nella Paese del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi.



Photo Credit: Kevin Frayer


Una minoranza che non vede riconosciuti diritti civili e politici, la cui discriminazione è anche di carattere religioso. I rohingya sono infatti musulmani che vivono nel Rakhine, apolidi considerati immigrati bangladesi e discriminati dalla maggioranza rakhine, di religione buddista. Una maggioranza che ha paura della diversità e che considera i rohingya una minaccia per la propria identità.

All'interno del numero 1228/anno 24 di Internazionale (27 ott-2 nov 2017) due articoli di Francis Wade sul The New York Review of Book e di Lee Jones sul New Mandala raccontano dei seicentomila rohingya scappati dalla Birmania verso il Bangladesh, dell'odio verso questa etnia e delle sue radici storiche e politiche. A partire dal colonialismo britannico fino a un'ostilità che oggi è sostenuta dalla maggioranza della popolazione, passando da una transizione democratica che non è pienamente riuscita. Nel 2010 infatti il potere è passato dalla giunta militare a un governo civile, oggi guidato da Aung San Suu Kyi, liberata dopo 26 anni di arresti domiciliari. Eppure proprio il premio Nobel per la pace sembra non essere particolarmente sensibile alla situazione dei rohingya, considerati dalla maggioranza della popolazione birmana "un'etnia cattiva".


Photo Credit: Kevin Frayer


Una situazione che ha visto il coinvolgimento degli Stati Uniti, che tramite il segretario di Stato Rex Tillerson lo scorso 24 ottobre ha parlato di "pulizia etnica", con sanzioni che potrebbero essere inflitte alla Birmania nel caso in cui la crisi umanitaria non dovesse rientrare. Cosa molto difficile, data la situazione di piena emergenza e un odio culturale che non può certo cancellare decenni di ostilità radicata. 

In questo articolo del The Guardian, il racconto fotografico della precarietà dei rohingya nei campi profughi e la drammaticità del loro esodo al confine con il Bangladesh tramite il fiume Naf. Reportage a opera di Kevin Frayer (@kevinfrayer), fotografo canadese autore di numerosi reportage in Asia e Medioriente.

http://www.kevinfrayer.com/ 


Photo Credit: Kevin Frayer





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