“Ho
imparato che quando c’è tanta morte, c’è anche tanta vita”. “La verità è che
ami tanto la vita quando senti la morte”.
Tasnim
e Gabriele sono in macchina, in viaggio verso Stoccolma, e stanno parlando
della guerra in Siria. Lei è un’attivista siriana, lui un giornalista e
scrittore e stanno aiutando Abdallah, Mona, Ahmed, Manar e Alaa a raggiungere
la Svezia: tutti e cinque sono scappati dalla guerra in Siria e sono sbarcati a
Lampedusa. Sono palestinesi e siriani e hanno il sogno di una vita migliore
lontana dalla morte e dalla violenza del Medio Oriente, nella speranza di poter
ricominciare. Il viaggio verso la speranza di una vita migliore è lungo e non
privo di rischi: accompagnare clandestinamente dei profughi attraverso l’Europa
comporta anche fino a 15 anni di carcere. Ma Gabriele e Tasnim sono convinti
che nella vita, prima o poi, bisogna scegliere da che parte stare, e allora la
libertà di chi scappa dalla guerra diventa più importante di qualsiasi altra
cosa: con loro si aggregherà un corteo di amici e anche una troupe pronta a
riprendere e documentare le fasi del viaggio che da Milano li porterà fino in
Svezia, passando per la Francia, il Lussemburgo, la Germania e la Danimarca. Il
tutto con l’idea di farne un docufilm attraverso il quale raccontare e
testimoniare l’attaccamento alla vita di chi non vuole arrendersi alla guerra e
alla morte.
Photo Credit: YouTube, Io sto con la sposa |
Un
viaggio pieno di emozioni e anche di tensione per quella che non è la trama di
un racconto inventato ma lo svolgersi di una storia vera. Un viaggio particolare
e inedito, se vogliamo geniale. Già, perché Tasnim viaggia vestita da sposa e
Abdallah da sposo, mentre il resto della comitiva li accompagna in giacca e
cravatta e vestiti eleganti in un corteo matrimoniale festoso e compatto: quale
poliziotto chiederebbe a degli sposi i documenti alla frontiera?
Io sto con la sposa diventa così una presa di posizione, un dare priorità alla
vita in ogni caso, un viaggio alla conquista della libertà lungo tremila
chilometri e quattro giorni, dal 14 al 18 novembre 2013. Un viaggio che è il
racconto di una storia vera e al tempo stesso un’azione politica, perché a
scappare dalla Siria non ci sono solo i sogni di Manar di diventare un giorno
un cantante rapper, di suo padre Alaa di dare un futuro alla sua famiglia, di
Mona e Ahmed di costruirsi una nuova vita in Europa e di Abdallah di costruire
il suo domani, ma i sogni e le speranze delle loro famiglie, dei loro parenti,
dei loro amici e di milioni di siriani e palestinesi che scappano dal loro
Paese rischiando la vita: “Quelle sulle quali saliamo sono vere e proprie
barche della morte, perché a pensarci paghiamo mille dollari a testa per
viaggiare verso la morte fra l’indifferenza di Stati, ambasciate e
istituzioni”.
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