“Guadagnarsi
la fiducia del lettore dicendo sempre la verità; chiedere scusa quando si
sbaglia; scrivere con un linguaggio semplice”. Queste sono le regole
individuate da Indro Montanelli per descrivere correttamente quello che dovrebbe
essere il giornalismo.
Gli
assunti elencati da uno dei più grandi giornalisti italiani sembrano essere di
forte attualità e, molto probabilmente, saranno i cardini attorno ai quali continuerà
a ruotare il futuro del giornalismo. Un futuro che per alcuni pare incerto, per
altri invece molto chiaro e semplice, forti di presunte previsioni etiche ed
economiche sullo stato di una professione attualmente in crisi o quantomeno in
forte cambiamento.
Per
cercare di capire su quali binari si sta incanalando il giornalismo e quale
sarà la prossima tappa del suo viaggio, bisogna prima partire da ciò che sta
cambiando nell’esercizio di tale professione e da quei fattori che ne stanno
sancendo il cambiamento, dalla crisi economica al ruolo della pubblicità,
dall’etica del giornalismo fino allo sviluppo tecnologico e al ruolo della
Rete.
La crisi economica e il ruolo della
pubblicità
Uno
dei fattori caratterizzanti della professione giornalistica nella nostra
società è sicuramente la crisi economica. Essa sta mettendo a dura prova la
società, il mondo del lavoro a vari livelli e quindi anche quello giornalistico
ne sta risentendo. Gli organi di informazione sono costretti ad esempio a
chiudere gli uffici di corrispondenza all’estero perché non in grado di
sostenerne i costi, affidando ad un corrispondente aree geografiche molto vaste
da coprire, con una conseguente impossibilità di fornire notizie approfondite
in maniera adeguata. Ecco che così diminuiscono le redazioni, non solo all’estero:
esse vengono accorpate oppure ridotte sensibilmente, con la conseguenza di un
aumento della tendenza a rivolgersi a giornalisti freelance in grado di fornire collaborazioni occasionali non
gravando eccessivamente sui bilanci degli organi di informazione attraverso
contratti vincolanti. Ciò comporta anche una ridefinizione della figura del
giornalista stesso: paradossalmente infatti si rischierà in futuro di avere
maggiori difficoltà a trovare lavoro da giornalisti professionisti piuttosto
che da giornalisti pubblicisti proprio a causa dei vincoli contrattuali che i
primi impongono attraverso il loro status.
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La
crisi di risorse economiche comporta anche una riduzione fisica dei giornali:
non solo nel numero minore di copie vendute – fatto dovuto anche ad una sempre
più scarsa propensione alla lettura, soprattutto in Italia – ma anche nella
grandezza dei giornali stessi. Molti quotidiani infatti stanno adottando il
formato tabloid, che consente di
risparmiare carta e inchiostro – in Italia Il Foglio è invece rimasto fedele ad un formato grande – e stanno optando per
figure non a colori, in bianco e nero, soprattutto per quanto riguarda i
giornali locali che spesso non possono permettersi grandi risorse e che sono
quindi anche maggiormente soggetti a tagli economici e redazionali.
In
tutto questo gioca un ruolo fondamentale la pubblicità. Quella su carta non è
più una garanzia e maggiori ricavi sono garantiti attraverso gli abbonati
secondo il modello del paywall –
utilizzato ad esempio dal New York Times
- secondo il quale non è possibile accedere ai contenuti di un sito web senza
aver prima effettuato una sottoscrizione retribuita. La pubblicità sul web non
è ancora in grado di sopperire al crollo della pubblicità su carta - tornata nel 2012 ai livelli degli anni
Cinquanta – ma, come sostenuto da Gleen Greenwald, ex giornalista del Guardian e Premio Pulitzer 2014, il
problema è che oggi le notizie sono sempre più accessibili gratuitamente: per
questo è necessario trovare un modello di business basato sul contributo dei
lettori, al fine di proporre un tipo di giornalismo unico e originale in grado
di attrarne l’attenzione. Ecco che il lettore viene ad essere sempre di più al
centro del mondo dell’informazione, in quanto i suoi interessi sono il motore
del flusso di informazioni in circolo e in costante aumento. Ciò spiega come
Bezos e Omidyar, esponenti di due colossi come Amazon e eBay, abbiano
deciso di entrare nel mondo dell’editoria – il primo ha acquistato il Washington Post e il secondo ha affidato
a Greenwald First Look Media, un progetto
di giornalismo indipendente – inserendosi in un flusso continuo di informazioni
che richiede sempre più servizi per il pubblico, indipendentemente dalla
difficile situazione economica in cui versano i media e l’editoria.
Un nuovo giornalismo che ruota attorno al
lettore
“Go where the audiance is”. È questa la
massima che sembra muovere e dominare il mondo dell’informazione e della
comunicazione oggi, in particolare con l’avvento delle nuove tecnologie, dei
social network e dell’universo 2.0.
Come
in ogni mercato un’offerta si formula anche in base alla domanda del pubblico e
ciò vale anche per l’informazione. Il flusso continuo e sempre più veloce di
contenuti ha accentuato questa logica, portando gli organi di informazione a
chiedersi sempre più spesso quali siano gli interessi del pubblico e come
sfruttarli al meglio: una volta individuato un pubblico già definito in base ad
uno o più interessi sarà infatti più facile ampliare la propria portata creando
un seguito e conseguentemente profitti. L’informazione è sempre più
differenziata e personalizzata in base ai molteplici interessi del pubblico,
sempre più abituato a scegliersi le notizie, che a loro volta scelgono il
lettore i cui interessi sono registrati da Google e da Facebook, la cui
pubblicità è precisa e mirata grazie ai Big Data.
Gianni
Riotta, giornalista de La Stampa, ha
parlato di una società – la nostra – che sta vivendo il passaggio dal Secolo
delle Masse – il Novecento – al Secolo dell’Individuo, nel quale non è più
importante fare una comunicazione di massa rivolta ad un pubblico generalista,
ma al contrario una comunicazione personal,
rivolta ad un pubblico di individui differenti gli uni dagli altri. Il
giornalismo quindi deve produrre un’informazione in grado di rivolgersi a individui
e non più a masse, adattando le sue risorse a questa logica. È in questo senso
significativa la crisi delle homepage
dei siti di informazione: sempre Riotta sottolinea come esse siano state a
lungo scambiate per le prime pagine dei giornali cartacei, con la tradizionale
impostazione della gerarchia delle notizie che vede le più importanti nel
taglio alto e quelle secondarie nel taglio basso. In realtà le homepage non consistono per niente alle
prime pagine: i lettori cercano sempre di più una specifica notizia attraverso
i motori di ricerca e non una gerarchia di notizie, venendo così reindirizzati
su di esse attraverso i social network e Google. Su questa impostazione il New York Times ha ristrutturato il suo
sito Internet, concependolo come un archivio da cui l’utente può attingere
andando oltre la ricerca iniziale e creando così una catena di click all’interno della quale inserire
la pubblicità grazie anche ai social network – il sito è stato infatti anche
pensato per essere facilmente visitabile su smartphone
e tablet.
Il
fatto che i lettori arrivino alle notizie tramite i social e Google è sintomo
che la crisi delle homepage è anche
la causa di una disintermediazione nella quale i giornali non fungono più da mediatori
fra il pubblico e le notizie: molti giornalisti lasciano le loro testate di
riferimento e si mettono in proprio attraverso blog e altri progetti, come il
caso Greenwald-eBay insegna.
Photo credit: Flickr |
Nascono
così progetti come BuzzFeed, soggetto
mediatico in forte espansione che abbina contenuti virali e contenuti più di
spessore, secondo una strategia che vede soft
news e hard news attrarre
pubblici differenti ma complementari. BuzzFeed
rappresenta un nuovo stile di giornalismo i cui contenuti sono sponsorizzati in
collaborazione con il lettore e il cui linguaggio – quello del web – risulta
attraente: i video virali attraggono utenti ai quali, una volta conquistati, si
possono vendere anche contenuti seri.
Il giornalismo di domani
Quale
sarà il domani dell’informazione? Questa domanda assilla giornalisti, editori e
addetti ai lavori, riempiendo articoli di giornale e creando un ampio dibattito
nell’opinione pubblica. Sapere con certezza cosa
sarà il giornalismo domani è impossibile: l’evoluzione tecnologica e quella
della società corrono sempre più freneticamente e non ci permettono di fare
previsioni esatte. Possiamo però immaginare, grazie a ciò che il giornalismo è oggi, quali potranno essere i possibili
sviluppi.
I
lettori sono sempre più coinvolti nel processo di news making grazie ai loro interessi ma anche attraverso una
partecipazione attiva e diretta. Pensiamo ad esempio alle trasmissioni
televisive, dai talk show politici ai reality, dai programmi di intrattenimento
a quelli sportivi: esse sono sempre più connesse alla Rete e ai social, attraverso
hashtag che permettono la
partecipazione dei telespettatori e che diventano uno strumento di misura del
successo e del gradimento della trasmissione, rispondendo alla domanda Cosa pensa la Rete? e dando così voce all’opinione pubblica. Si
crea così un giornalismo social – la
cui massima espressione è la trasmissione di Rai3 Gazebo – nel quale è centrale l’engagement,
ossia l’insieme delle interazioni che si creano con i lettori dalle quali i
media ottengono feedback
preziosissimi e dal quale si crea una sorta di native journalism che permette agli utenti di costruire e raccontare
una notizia attraverso i social e lo storytelling.
Il citizen journalism, il
giornalismo fatto dai cittadini attraverso articoli postati su blog e social e
video caricati su YouTube, è un fenomeno in forte espansione – pensiamo alla
Primavera araba – che cambia il modo di conoscere e raccontare gli eventi: i
media tradizionali (tv, stampa, radio) non hanno più l’esclusiva delle notizie
e può capitare che un semplice cittadino sia più tempestivo di un giornalista
nello scovare e raccontare una notizia. Essi sono così costretti a rimanere al
passo, utilizzando i social: Twitter come strumento di rassegna stampa, Facebook
come strumento di marketing, YouTube e Instagram come agganci per raggiungere i
più giovani.
La
mole di Big Data derivanti dal web 2.0 crea un data journalism che si intreccia al giornalismo tradizionale
formando un giornalismo a 360° nel quale una notizia viene continuamente
aggiornata e impreziosita di dettagli in pochissimo tempo attraverso strumenti
quali il fact-checking, il live-blogging e il live-tweetting. Si ottengono così diversi punti di vista di uno
stesso evento, con un rischio però molto importante: creare un mare di notizie
incontrollabili e non verificabili causando smarrimento e confusione nel
lettore.
Le
informazioni sono sempre più veloci e quindi servono strumenti all’altezza:
Internet permette di raccogliere e organizzare una grande quantità di
contenuti, formando una memoria storica raccontata attraverso timeline, infografiche, gallerie
fotografiche e video – pensiamo al MediaLab
de La Stampa - che diventano
espressione di una necessaria convergenza tecnologica e mediatica in grado di
semplificare il lavoro e che viene facilmente trasmessa attraverso i social –
basti pensare a BBC News che sul
profilo Instagram posta dei brevi video in stile servizio da telegiornale.
Uno
dei rischi dovuti a questo flusso frenetico di informazioni è quello di
trascurare la verifica delle notizie in una corsa allo scoop che va a discapito della buona informazione. Aspettare di
dare una notizia per verificarne la veridicità è e rimane una delle regole
fondamentali del giornalismo e dovrà esserlo anche in futuro – se avete qualche
dubbio guardatevi la serie televisiva The
Newsroom del celebre sceneggiatore e produttore televisivo Aaron Sorkin. Compito
del giornalismo è infatti quello di informare e ciò è possibile solo cercando
la verità. L’arduo compito che lo aspetta è conservare questo principio, sempre
più difficile da attuare in un mondo che va sempre più veloce, che ha sempre
più strumenti a disposizione e dove dare sempre al pubblico ciò che vuole può
abbassare la qualità dell’informazione e oltrepassare i limiti deontologici.
La
crisi del giornalismo non è solo economica ma è anche sociale e culturale: essa
rispecchia una crisi della società tradizionale, una competizione fra
giornalismo super partes e
giornalismo soggettivo e un’informazione standard, uguale per tutti, che non
basta più.
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La
professione del giornalista si sta evolvendo in quella che potrebbe essere
definita figura del giornalista 2.0: una figura in grado di saper scrivere
un pezzo ma anche girare e montare un video, sintetizzare in un tweet, postare riflessioni e
considerazioni su un blog e raccontare eventi su Storify dando delle vere e
proprie notizie digitali e multimediali. Il tutto però senza dimenticarsi
alcune semplici regole tradizionali: dire la verità, correggere gli errori,
farsi comprendere.
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