Le
ormai note vicende di Parigi di più di dieci giorni fa hanno sconvolto la
società francese e mondiale, facendo riemergere la minaccia del terrorismo
islamico come non la si percepiva dall’11 settembre 2001. Ma parallelamente si
è aperto un altro acceso dibattito, quello relativo alla libertà d’espressione.
C’è chi sostiene che essa non debba avere alcun limite, ad esempio come scritto
per il settimanale Internazionale da Philippe Ridet, corrispondente in Italia
per il quotidiano francese Le Monde; c’è chi sostiene invece che Charlie Hebdo
abbia passato il limite, andandosela un po’ a cercare, come sostenuto dal
Financial Times in un editoriale; infine c’è chi, pur condannando apertamente
la cruenta vicenda, si distacca dalla linea editoriale politicamente scorretta
del periodico francese, non accettando l’offesa al credo religioso, sia esso musulmano
o cristiano. #JeSuisCharlie è lo slogan che subito si è diffuso in sostegno di
Charlie Hebdo, apparso su cartelli, manifesti, magliette, giornali e programmi
televisivi, nelle piazze quanto sul web, ma è stato ed è soprattutto un
messaggio che ha un significato ben preciso: la difesa incondizionata della libertà
d’espressione come principio supremo della democrazia. Molti politici,
giornalisti e semplici cittadini di tutta Europa hanno fatto proprio questo
slogan identificandosi con il suo messaggio: “essere Charlie” significa
sostenere, apertamente e in maniera convinta, la libertà d’espressione. Una
libertà d’espressione che legittima anche una libertà di satira indipendente
dal politicamente corretto e dal rispetto della sensibilità del credo religioso
(questione sulla quale si potrebbe aprire un dibattito molto ampio, anche alla
luce della regolamentazione giuridica della satira stessa). Eppure, a mente
fredda, a distanza dai fatti di Parigi, sorge spontanea una domanda: ma siamo
davvero tutti Charlie oppure no? Siamo cioè davvero a favore della libertà d’espressione
senza confini e senza limiti, come la definiscono Ridet e molti suoi colleghi e
come l’hanno dipinta molti all’interno dell’opinione pubblica? Quindi, cosa
significa soprattutto che la libertà d’espressione “non deve conoscere confini”
(cit. Ridet)? Significa, ad esempio, che anche l’insulto, la blasfemia e le
aggressioni verbali potrebbero venire ad essere legittimati, con buona pace del
rispetto, del dialogo e dei vari reati di vilipendio, diffamazione e
reputazione (una libertà d’espressione senza limiti rende difficile definire un
insulto o un’offesa, dato che essi sussistono quando si supera il limite del
rispetto, del decoro e del buon senso).
Quindi, cosa significa “essere tutti
Charlie Hebdo”? Davvero siamo pronti a rispettare il pensiero altrui e il diritto
ad esprimerlo, anche quando non ci va bene? In realtà sembrerebbe di no. Sabato
a Milano si è tenuto un convegno, dal titolo “Contro i falsi miti di
progresso”, tenuto da Mario Adinolfi, Costanza Miriano, Maurizio Botta e Marco
Scicchitano, i quali hanno argomentato il loro punto di vista a riguardo della
difesa della famiglia tradizionale, la loro contrarietà alla pratica dell’utero
in affitto e la loro convinzione del diritto di un bambino ad avere un padre e
una madre. Insomma, hanno organizzato un meeting aperto per confrontarsi su una
tematica, una cosa normale in un paese democratico e rispettoso delle varie e
differenti posizioni. Eppure tale convegno ha dovuto subire beceri attacchi
mediatici da parte di Repubblica, che l’ha definito un convegno omofobo in
quanto contro gli omosessuali (manipolando anche il numero di partecipanti al
convegno, perché non sia mai che si sappia in giro che tremila persone la
pensavano come Adinolfi, la Miriano e compagnia bella), senza che gli omosessuali
venissero invece mai etichettati, additati e addirittura menzionati, e con
tanto di disturbatore istruito ad hoc dalle Iene salito sul palco per
provocare.
Gli atti vandalici contro l'insegna de La Croce |
Nei pressi della redazione de La Croce, inoltre, un’insegna del quotidiano diretto da Adinolfi è stata presa a sprangate, mentre la sede della redazione di Tempi, periodico anch’esso di stampo cristiano, è stata imbrattata dalla scritta “Tempi merde omofobe e sessiste”, con tanto di escrementi lasciati in bella vista. Ma naturalmente gli organi di stampa e di informazione non parlano di tutto ciò, se non in maniera strumentale. Gli attacchi a Charlie Hebdo erano partiti con minacce, poi con una bomba molotov, infine con un atto di terrorismo in cui hanno perso la vita dodici persone. Charlie Hebdo era ed è un giornale critico nei confronti della religione, La Croce e Tempi invece no, ma a prescindere da questo, in entrambi i casi rappresentano l’espressione di un pensiero e sono pertanto uguali, con il medesimo diritto a dare voce all’opinione pubblica. Eppure nessuna manifestazione di solidarietà, nessun hashtag #IoSonoTempi o #IoSonoLaCroce. Quindi, siamo davvero tutti Charlie Hebdo? Siamo davvero a favore della libertà di pensiero in ogni caso, in ogni dove, per tutto e per tutti? Oppure per la libertà d’espressione ci sono figli e figliocci?
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