Rappresaglie
contro numerose moschee e una sparatoria a sud di Parigi, nella quale è morta
una poliziotta. Queste sono le conseguenze dell’attentato avvenuto ieri contro
la sede del settimanale Charlie Hebdo, che ha visto due franco-algerini
irrompere nella sede del giornale, incappucciati e armati, durante una riunione
di redazione, facendo fuoco contro il direttore, Stephan Charbonnier, detto Charb, e
i tre più noti vignettisti, Cabu, Tignous e George Wolinski.
(Immagine tratta da www.primissima.it) |
Un attacco
studiato nei dettagli e legato all’estremismo islamico: i due attentatori
infatti hanno fatto irruzione urlando "Allah u Akbar"(Allah è grande), con
l’intento di vendicare il profeta Maometto, offeso dalle numerose vignette
satiriche pubblicate dal giornale parigino nel corso di questi anni (un quarto
d’ora prima dell’attentato era stata inoltre twittata una vignetta riguardante
al-Baghdadi, leader dell’ISIS). Il giornale era già stato minacciato a seguito
delle vignette pubblicate nel 2006 che avevano scaturito una forte polemica in
tutta Europa (in Italia il leghista Calderoli mostrò in tv una maglietta
raffigurante una della vignette) e in tutto il mondo musulmano. Nel novembre
del 2011 un incendio doloso distrusse la redazione del giornale, tanto da
spingere le autorità a mettere sotto protezione l’edificio ospitante la sede di
Charlie Hebdo. Protezione che non è però bastata ieri, quando due poliziotti
sono stati freddati senza esitazione dai due attentatori. Tale dimestichezza
con la morte e la violenza ha fatto subito pensare a due uomini addestrati,
come si è poi certificato a seguito della loro identificazione: i due sarebbero
riconducibili infatti ad Al Qaeda. L’attentato ha quindi una palese natura
religiosa, per l’ennesima volta legata alla violenza, che rischia di far
scaturire una sorta di guerra di religione. Il rapporto fra l’Islam e
l’Occidente è una continua escalation di tensione e violenza, nella quale ne
fanno le spese la società civile e quei musulmani che con il terrorismo e la
jihad non vogliono avere nulla a che fare: poco tempo fa a seguito delle
uccisioni degli ostaggi da parte dell’ISIS in nome dell’Islam molti musulmani
avevano alzato la loro voce contro tale violenza, attraverso la campagna
#NotInMyName. Grido che si sta ripetendo in queste ore, ma che deve fare ora i
conti con una inevitabile crescente paura e diffidenza da parte degli
occidentali: il fatto che i due attentatori siano nati e cresciuti in Francia
fa capire come ormai Al Qaeda e l’ISIS trovino terreno fertile proprio in
quell’Occidente che vogliono combattere, con l’obiettivo di distruggerlo
dall’interno. In tutto questo può inserirsi facilmente un forte nazionalismo:
in Italia il leghista Maroni ha ribadito ancora una volta la volontà di
sospendere gli accordi di Schengen, mentre in Francia, paese europeo con la più
alta percentuale di cittadini musulmani, a seguito dell’attentato il Front
National di Marine Le Pen potrà rafforzare il suo consenso. Un attentato che è
il più grave negli ultimi trent’anni della storia francese e che si aggiunge ai
recenti fatti di Sydney e a quelli di Bruxelles dell’anno scorso, senza
dimenticare quelli degli scorsi anni negli USA, a Londra e a Madrid. La Francia
sta vivendo il suo 11 settembre, con immagini terribili che stanno facendo il
giro del mondo in televisione quanto sul web, in particolare se si pensa
all’agghiacciante uccisione del poliziotto (tra l'altro musulmano) davanti alla sede di Charlie Hebdo. Le
autorità politiche di tutto il mondo hanno condannato fortemente l’attentato,
da Obama a Hollande, fino a Putin, Renzi, Bergoglio e la Merkel, con la
conseguente ed inevitabile allerta terrorismo. Anche la società civile si è
mobilitata, con manifestazioni di solidarietà nelle grandi piazze europee:
Parigi, Marsiglia, Lione, Stoccolma, Vienna, Roma, Milano, Berlino, Londra e
Bruxelles sono state sedi di numerose veglie e fiaccolate, unite dal messaggio
solidale #JeSuisCharlie, “Io sono Charlie”.
(Immagine tratta da www.nydailynews.com) |
Tutti in difesa della libertà di
espressione, della libertà di stampa e della libertà di satira, principi
essenziali della democrazia. Ma c’è un però. Premessa la sacrosanta libertà di
satira, viene da chiedersi quanto essa possa spingersi oltre quando si parla di
religione, qualsiasi religione. La religione è sempre stata e sempre sarà
oggetto di contese e divisioni, perché troppo spesso ricondotta ad una visione
ideologica (quella stessa visione ideologica che porta agli attentati
terroristici): il Financial Times ha pubblicato un editoriale nel quale si
definisce “stupido” l’atteggiamento editoriale di Charlie Hebdo, in quanto
provocatorio nei confronti dei musulmani. Una dichiarazione forte, ma
che può e deve far riflettere: siamo sicuri che ritrarre una divinità in modo provocatorio sia
semplice libertà di espressione e non anche blasfemia e offesa per intere comunità religiose? Di sicuro c’è
solo che alle parole e alle vignette si è risposto con le armi, la violenza e
la morte.
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