venerdì 3 ottobre 2014

LA CONTINUITÀ PASTORALE DI BERGOGLIO, RATZINGER E WOJTYLA

Oggi, grazie a Papa Francesco, la Chiesa Cattolica sta vivendo un momento di grazia, sia per quanto riguarda il recupero di credibilità agli occhi dell'opinione pubblica dopo i vari scandali, da quelli finanziari dello IOR a Vatileaks, sia per quanto riguarda l'aspetto pastorale, con il recupero di fedeli in un momento storico molto difficile per la fede cristiana, sempre più stretta all'interno di una società secolarizzata e globalizzata. Per questo Francesco è stato definito "rivoluzionario", una sorta di super-eroe in grado di attrarre simpatia e benevolenza riportando la gente in chiesa. Sì, è vero. Francesco ha risvegliato il senso di appartenenza alla fede cristiana, l'attenzione verso i poveri, la necessità di riscoprire la quotidianità attraverso la semplicità. Ma è lui stesso a rifiutare l'appellativo di super-eroe, o di super-Pope, sottolineando come al centro sia fondamentale mettere Cristo e non l'uomo: "Sono un peccatore cui Dio ha guardato", ha dichiarato Francesco nell'intervista/dialogo con Scalfari, fondatore del quotidiano Repubblica. Una frase che denota l'umiltà del Pontefice argentino, che non cerca gloria né privilegi, ma la povertà di chi è in difficoltà per incontrare Cristo, per portare la gente a Lui. Vivere a Santa Marta, in mezzo alla gente, è per Francesco "una necessità, per motivi psicologici", così come rinunciare a privilegi e lussi. Ma attenzione: questa umiltà non deve essere considerata una novità assoluta per la Chiesa! Francesco non ha portato l'umiltà e la povertà in Vaticano, ma l'ha solo rispolverata, l'ha risvegliata dal sonno in cui era caduta negli ultimi tempi. Francesco, più che un rivoluzionario, è forse più un riformatore, più attento a ricordare quali sono i cardini su cui vive la Chiesa, piuttosto che portare una rivoluzione, la quale richiederebbe buttare giù tutto per ricostruire da capo. Francesco sta operando in continuità con Benedetto XVI e con Giovanni Paolo II, semplicemente in maniera diversa in quanto ogni Papa, come ogni uomo, è diverso da un altro, ha carismi propri che si adattano alle necessità del tempo in cui la Chiesa vive. L'umiltà di Francesco è il prolungamento dell'umiltà di Benedetto, coraggioso nelle sua rinuncia al Pontificato in quanto umile nel riconoscere i suoi limiti fisici. Umiltà, quest'ultima, che è il prolungamento di quella di Wojtyla, umile nel sapersi mostrare sofferente nella malattia, comunicando attraverso di essa la sofferenza di Cristo. Sofferenza fisica che ha accompagnato Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, portandoli sì a scelte diverse (uno a continuare il suo Magistero, l'altro a rinunciarci) ma con un obiettivo comune: il bene della Chiesa. Bene della Chiesa che adesso è l'obiettivo di Francesco, portando avanti l'opera di riforma già iniziata da Benedetto XVI (a discapito delle critiche faziose di media e lobby), il quale portò avanti a sua volta l'opera di riforma di Giovanni Paolo II. Francesco oggi parla di una Chiesa umile e povera, paragonandola ad un "ospedale da campo" nel quale è necessario curare tutti senza distinzioni di razza, genere, orientamento sessuale o status sociale: in questo senso Francesco parla spesso di giustizia, ma anche di perdono. Un perdono che è più forte del giudizio e del pregiudizio, che non deve dimenticare il torto ma semplicemente guarirlo. Un perdono tanto predicato da Francesco e che non trova esempi migliori se non nei suoi due predecessori, capaci di perdonare un attentato alla propria vita, come fece Giovanni Paolo II con Alì Agca, e un tradimento, come fece Benedetto XVI con il suo maggiordomo personale, Paolo Gabriele. Umiltà e perdono non sono quindi delle novità portate da Francesco, ma sono solo cardini della Chiesa rispolverati e ricordati attraverso gli esempi di Woityla e Ratzinger, ma soprattutto in una continuità pastorale con essi. Per il bene della Chiesa. 



Immagine tratta da www.traditio.com 

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