Il
14 luglio 2014 padre Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana,
attraverso una nota comparsa sul sito www.news.va,
uno dei canali ufficiali della Santa Sede, ha precisato come le
parole attribuite da Eugenio Scalfari a papa Francesco in un articolo
comparso su La Repubblica il 13 luglio fossero “frutto
della sua memoria di esperto giornalista, ma non di trascrizione
precisa di una registrazione e tantomeno di revisione da parte
dell’interessato, a cui le affermazioni vengono attribuite”.
Una presa di distanza da quella che è stata diffusa come intervista
da parte dei media e da Repubblica: “Non
si può e non si deve quindi parlare in alcun modo di un’intervista
nel senso abituale del termine, come se si riportasse una serie di
domande e di risposte che rispecchiano con fedeltà e certezza il
pensiero preciso dell’interlocutore”.
Parole dure da parte di Lombardi, che non si è nemmeno risparmiato
di alludere a possibili manipolazioni di senso: “Nell’articolo
pubblicato su Repubblica queste due affermazioni vengono chiaramente
attribuite al Papa, ma – curiosamente - le virgolette vengono
aperte prima, ma poi non vengono chiuse. Semplicemente mancano le
virgolette di chiusura…Dimenticanza o esplicito riconoscimento che
si sta facendo una manipolazione per i lettori ingenui?”.
Di certo è facilmente intuibile come il colloquio fra Scalfari e il
Pontefice non sia stato gradito in Vaticano nei termini coi quali è
stato riportato: i virgolettati utilizzati dal fondatore di
Repubblica hanno infastidito la Santa Sede in quanto attribuivano al
papa frasi particolarmente delicate su temi quali la pedofilia e il
celibato dei preti, come precisato da p. Lombardi nella nota. Ma
soprattutto in Vaticano non hanno gradito tale “intervista”
perché già infastiditi da un recente precedente: il
dialogo-intervista avvenuto sempre fra Scalfari e Bergoglio. Era il
primo ottobre del 2013 quando sul quotidiano La Repubblica comparve
la lunga intervista rilasciata dal Pontefice al noto giornalista: un
colloquio che sanciva il dialogo fra credenti e non credenti, emblema
della cultura dell'incontro professata da Francesco. Eppure anche in
quella occasione i virgolettati attribuiti da Scalfari al papa
argentino furono oggetto di polemiche e precisazioni da parte di
Lombardi, tanto che l'intervista fu poi cancellata dal sito web
ufficiale della Santa Sede. Scalfari si giustificò sostenendo che in
cinquant'anni di interviste non si era mai servito né di appunti né
di registrazioni nella redazione degli articoli, affidandosi
semplicemente alla sua memoria attraverso la quale ricostruire gli
incontri. Inoltre il giornalista sostiene di aver avuto anche
l'autorizzazione esplicita sia da parte di mons. Xuereb, segretario
di Francesco, sia dal Pontefice stesso. Le due (presunte) interviste
hanno scatenato un acceso dibattito, nel quale sono fioccate critiche
a Scalfari (in particolare da Antonio Socci) e anche allo stesso
Francesco, colpevole secondo alcuni di essere troppo aperto a
posizioni progressiste. Senza entrare nel merito delle frasi
attribuite al papa e senza questionare sulla onestà del fondatore di
Repubblica, quello che lascia perplessi è l'operato giornalistico di
Scalfari. È davvero possibile affidarsi completamente alla propria
memoria nella strutturazione di un articolo piuttosto che di una
intervista? Quello che dovrebbe caratterizzare l'operato di un
giornalista è la narrazione completa e oggettiva dei fatti,
lasciando all'interpretazione e ai commenti personali uno spazio
relativo, per non influenzare in alcun modo il lettore, in modo da
permettergli la formulazione di un pensiero proprio. Scalfari a dire il vero non parla mai esplicitamente di interviste ma di colloqui con il Pontefice: il problema è che poi negli articoli comparsi su Repubblica la struttura utilizzata è quella delle interviste. È possibile
dunque attribuire all'intervistato delle frasi senza essere sicuri
della loro veridicità? Questo dovrebbe essere il primo passo in ogni
lavoro giornalistico: confermare e citare le fonti per evitare
equivoci e fraintendimenti. Si sa, la memoria umana è facilmente
fallibile e di breve durata: a meno che Scalfari non sia un drone
dalla memoria infallibile, gli sarebbe più utile servirsi di un
registratore o di appunti, quantomeno per avere delle prove tangibili
in caso di necessità. Dispiace che un noto giornalista, fondatore di
uno dei quotidiani più letti e venduti in Italia, sia protagonista
di una vicenda che si poteva benissimo evitare, ma soprattutto
dispiace che un evento di grande portata, come il dialogo fra la
massima autorità della Chiesa cattolica e un noto ateo convinto, sia
stato sminuito e oscurato da polemiche, smentite e note ufficiali.
Immagine presa da formiche.net |