lunedì 5 marzo 2018

LA PANCIA DEGLI ELETTORI E L'ELITISMO DEL PD

Abbracci, larghi sorrisi e flash di fotografi senza sosta: è questa la cornice che ha visto il voto del 4 marzo incoronare Luigi Di Maio e Matteo Salvini come vincitori assoluti delle politiche 2018. Il primo partito e la prima forza della coalizione del centrodestra (con quest’ultima che, ricordiamolo, grazie a Forza Italia e Giorgia Meloni ha raggiunto il 37% delle preferenze contro il 32% dei cinque stelle e il lontano 23% del centrosinistra) si ritrovano così ad essere gli attori politici protagonisti della prossima legislatura, almeno stando ai numeri che ne hanno sancito la vittoria. 


Immagine da Termometropolitico.it 


Legislatura che dovrà quindi tenere conto di un governo dalle larghe intese generato da queste due realtà che rappresentano, per motivi diversi, il ribaltamento della politica moderata a favore di quella estremista e populista. 

Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio dopo le prime proiezioni degli scrutini



Estremista in senso di ribellione, di insofferenza da parte dei cittadini e dell’opinione pubblica verso i partiti tradizionali. Populista nel senso di recupero di una sovranità popolare che sarebbe andata persa nel corso delle ultime legislature a causa delle ingerenze dell’Europa. In questo senso l’affluenza rappresenta un dato importante: è stata superiore al 73%, il che testimonia la volontà da parte dei cittadini di dire la propria. Se la Lega ha sbaragliato le urne al nord, il M5S ha fatto incetta di voti al sud, specialmente in Puglia, dove le dichiarazioni pro cinque stelle da parte del Presidente della Regione Michele Emiliano hanno sicuramente contribuito ad affossare il PD. 


Immagine da Quotidiano.net

Emiliano però è solo un esempio di come il centrosinistra sia riuscito, ancora una volta, a farsi del male da solo. Se il governatore di una Regione va - nemmeno troppo velatamente - contro il proprio partito, resta da chiedersi cosa ci sia da stupirsi di fronte al pessimo risultato che il PD di Renzi è riuscito a portare a casa. Dimissioni o non dimissioni da parte del segretario (le quali sono arrivate puntuali, proprio come dopo la sconfitta al referendum dello scorso anno), è chiaro come la fuga della sinistra storica per fondare Liberi e Uguali altro non poteva essere che un presagio di sconfitta. Su tutti i fronti. 




Il PD ha perso ormai da tempo la sua base elettorale radicata nel territorio, da sempre forza della sinistra. Renzi ha probabilmente commesso l’errore di personalizzare troppo il partito e oggi si ritrova a fare i conti con una rottamazione della vecchia guardia che si è rivelata essere un boomerang: sembra solo di ieri il 40% raggiunto nel 2014, risultato straordinario che, col senno di poi, si può dire mascherasse le numerose e profonde crepe esistenti fra l’elettorato di sinistra e quello più centrista. Due anime parallele ma non complementari, frutto di un’unione di idee diverse che nella teoria doveva rappresentare quel senso di democrazia alla base del nome stesso del partito ma nella realtà troppo distanti per rappresentarne la forza. 

La progressiva fuoriuscita dei vari Civati, D’Alema, Grasso e Bersani ha portato via la fedeltà elettorale al partito che la base popolare esprimeva attraverso il più classico dei voti di appartenenza. Il centrosinistra si è frastagliato, si è fatto la guerra in una campagna elettorale poverissima di contenuti e carica, al contrario, di frasi fatte, luoghi comuni, lotte fratricide e malcontenti. Il populismo di Salvini e di Di Maio, con la loro antipolitica, ha fatto presa su questa insofferenza popolare, andando a infliggere il colpo di grazia al Partito Democratico dilaniando proprio una delle sue ferite più grandi: le continue liti interne e l’incapacità di una comunanza di intenti, almeno ai fini di una compattezza di facciata. 

Cosa che è invece riuscita a fare il centrodestra grazie alla triplice alleanza firmata Salvini, Meloni e Berlusconi. Quest’ultimo esce sconfitto dallo scontro interno con il Matteo leghista, ma ancora una volta dimostra come quello di destra sia un elettorato nostalgico in grado di compattarsi attorno a un ideale o a uno scopo. Nonostante la sentenza che gli impedisce di essere candidabile, Berlusconi è riuscito a risvegliare un 14% di fedeli forzisti risultati fondamentali ai fini degli scopi di coalizione: affossare Renzi, stare davanti al Movimento 5 Stelle e candidarsi alla leadership di Palazzo Chigi. 



Immagine da Rainews.it


Il voto di domenica ci riporta al voto di protesta, all’antipolitica che dei contenuti dei programmi elettorali se ne fa un baffo. D’altronde, come si diceva prima, questa è stata forse la campagna elettorale più scarna e sterile di sempre: nessun confronto televisivo, nessuna discussione costruttiva, nessuna ricerca di punti di contatto. Obiettivi ricercati, almeno in parte, dal solo Renzi, la cui strategia di elencare le buone cose fatte dal suo governo e da quello Gentiloni si è persa nel vuoto di un elettorato incattivito e sordo. Renzi si è così ritrovato di fronte ad un muro di gomma, ostile nel far rimbalzare indietro ogni buon proposito per il futuro. 

Troppo forte è stata la pancia degli elettori, intercettata inevitabilmente da chi è riuscito a toccare le corde giuste promettendo portate succulenti: reddito di cittadinanza, maggiore indipendenza dall’Europa, cambiamento della politica dal basso. Troppo debole, ancora una volta, è stata invece l’anima intellettuale del centrosinistra, che la politica con la P maiuscola la vuole sì fare, con il risultato però di perdersi nel classico specchietto per allodole finendo per parlare solo a se stesso e al proprio circolo di narcisi che ne sanno di più. Un fare elitario che si dimentica però della pancia degli elettori, che nelle cabine elettorali, scheda e matita in mano, la differenza la fa eccome. 



Per Renzi è una seconda sconfitta pesante e il progetto di un grande partito in grado di tenere insieme centrodestra e centrosinistra ha finito per strapparlo in due una volta che queste due fazioni si sono troppo polarizzate. Il ruolo di opposizione che il PD ricoprirà nella prossima legislatura sarà l’occasione per recuperare la propria identità. O meglio, per capire in quale direzione vuole andare e a chi vuole davvero parlare.

Nessun commento:

Posta un commento