Sala
d’attesa della stazione di Bologna. Una ragazza, seduta una fila davanti a te,
beve da una bottiglietta d’acqua. Un signore, anche lui seduto di fronte a te,
non fa niente se non guardare in giro e pensare, qualche volta appoggiando la
testa sulla mano e il gomito sulla gamba. Un’altra ragazza, seduta con le gambe
incrociate sulla tua sinistra, studia, mentre il signore seduto di fianco a lei
scorre il dito sul suo smartphone.
Due donne, sedute alla tua destra, parlano in arabo, mentre la coppia dietro di
te parla in inglese, lodando Bologna e il suo centro pieno di gente. Un treno
sfreccia al binario 1, spostando una quantità d’aria e di rumore sufficienti a
catturare l’attenzione dei presenti: per un attimo basta conversazioni, basta studio,
basta pensieri. L’attenzione di tutti è catturata da un treno in movimento.
Pochi secondi e torna la quiete, e con essa l’attesa delle persone.
Cammini
per le vie della stazione e i suoi binari, con la tracolla che sbatte sulla tua
gamba destra e la valigia nera piena di vestiti appallottolati per la fretta.
Cammini e pensi che hai sempre amato le stazioni ferroviarie. Hai sempre amato
quel via vai di persone di tutti i tipi: uomini, donne, bambini, biondi, mori,
rossi, alti, bassi, italiani, stranieri, europei, asiatici, sudamericani,
africani. Persone di fretta, calme, da sole, accompagnate. Altre cariche di
valigie, borse, borsoni, trolley,
altre semplicemente libere da ogni tipo di peso. Hai sempre amato le stazioni
dei treni perché ti hanno sempre dato la possibilità di osservare: la razza, il
sesso, le abitudini, i comportamenti, i sentimenti. Hai sempre osservato,
appuntato nella tua mente ciò che ti colpiva, ciò che ti cambiava, anche solo per
un attimo, la giornata. Hai osservato le persone mentre leggevano, mentre
dormivano, mentre ascoltavano la musica o leggevano qualcosa sullo smartphone, mentre parlavano al
cellulare o con un compagno di viaggio. A volte semplicemente mentre guardavano
fuori dal finestrino. Hai immaginato le loro mete, i loro orari, i loro modi di
viaggiare, osservando i bagagli, l’abbigliamento, se viaggiavano da sole o
accompagnate. Hai visto le persone alle prese con il tempo, mentre guardavano
l’orario sul loro orologio o sul telefono, oppure al tabellone degli arrivi e
delle partenze alla stazione nelle sale d’attesa, ai binari o nei
sottopassaggi. Hai visto le persone correre per prendere una coincidenza,
oppure rilassarsi al bar con un caffè o un gelato oppure sedute ad un angolo a
pranzare con un panino comprato o fatto al volo a casa. Hai visto le persone
scendere da un treno mentre qualcuno le aspettava, ne hai viste altre invece
salire per andare a trovare qualcuno, magari per fare una sorpresa. Hai visto
universitari studiare in posizioni scomode sui sedili o seduti sulle valigie e
pendolari con la loro ventiquattrore di pelle appoggiata sulle gambe. Hai visto
persone che stavano affrontando un lungo viaggio e altre semplicemente tornare
a casa dalla loro famiglia. Hai sempre amato le stazioni, perché le hai sempre
trovate la metafora perfetta della vita. Già, perché nella vita si sta come su
un treno: c’è chi sale e c’è chi scende, chi sta seduto comodamente e chi
invece sta in piedi alla ricerca quasi disperata di un posto a sedere, c’è chi
viaggia leggero e chi invece viaggia pesante, carico di problemi, domande e
pensieri. C’è anche chi soffoca in un wc
maleodorante perché è l’unico posto che ha trovato e ogni tanto, nella vita, un
po’ di merda la devi pur sopportare. Infine c’è anche chi dal treno viene proprio
travolto, perché la merda è diventata troppa e insopportabile.
Pensi
a tutto questo mentre ti siedi su una panchina della stazione di Bologna con il
tuo computer appoggiato sulle gambe. Osservi la stazione dal binario 2 ovest,
mentre pendolari e studenti invadono ogni spazio. Osservi e scrivi, scrivi e
pensi, pensi e ricordi, ricordi e immagini cosa ancora potrai vedere.