mercoledì 18 giugno 2014

Esiste ancora la presunzione di innocenza sancita dalla Costituzione?

Gli ultimi giorni hanno visto la cronaca nera riempire le pagine dei giornali e gli spazi televisivi: prima il terribile triplice omicidio di Motta Visconti, dove il trentunenne Carlo Lissi ha ucciso la sua famiglia (moglie e due figli piccoli); poi l'annuncio (da anni atteso) dell'assassino di Yara Gambirasio, la tredicenne di Brembate trovata morta il 26 febbraio 2011 in un campo del bergamasco, individuato nella persona di Massimo Giuseppe Bossetti, un muratore della zona. Due fatti che hanno sconvolto l'opinione pubblica italiana per la crudezza degli eventi: un uomo che stermina la famiglia perché la considera un <<ostacolo>> all'amore provato per una collega e un altro uomo che è accusato di aver seviziato e ucciso una adolescente dell'età dei propri figli. Quello che accomuna le due vicende, oltre alla follia omicida e alla violenza estrema, è il fatto che gli omicidi siano stati commessi da due padri di famiglia: su questo aspetto si potrebbe aprire un lungo dibattito sulla crisi della famiglia e del matrimonio nella nostra società, come un altro dibattito inerente sarebbe quello della follia che abita nell'uomo, capace di uccidere senza se e senza ma persone innocenti e indifese come i bambini, anche i propri. Ma non è questo il luogo adatto. Quello che lascia perplessi è la freddezza e il cinismo con il quale vengono trattate le due vicende dal sistema mediatico in maniera strumentale e inappropriata. Sulle homepage dei siti online dei quotidiani si sono moltiplicate in maniera smisurata le foto riguardanti la vita delle persone coinvolte: "poco male", penserete, per descrivere una vicenda è necessario dare il maggior numero di informazioni possibile. Vero, anche le fotografie sono un aspetto rilevante della cronaca giornalistica, informazioni in grado di descrivere più di interminabili articoli e riflessioni piene di congetture. Quello che non va bene è la strumentalizzazione di queste immagini, giocare cioè sull'emotività del lettore scatenando odio e risentimento verso i protagonisti "negativi" della vicenda, come se non bastassero già i fatti per condannarli. Mettere a ripetizione la foto del matrimonio fra l'assassino Lissi e la moglie è un modo un po' crudo di giocare sulla tragica fine della loro relazione, andando un po' oltre la legittima narrazione oggettiva dei fatti. Come strumentale è la serie di gallerie fotografiche dedicate a Bossetti, presunto assassino di Yara: foto prese dal suo profilo Facebook nelle quali viene ritratto in diversi aspetti quotidiani della sua vita privata, con l'obiettivo di tracciare un profilo psicologico dell'assassino, come se non ci fossero già degli esperti che queste cose le fanno di professione. Tema che è ben spiegato e approfondito in un articolo comparso nella giornata di ieri su Wired. La vicenda di Brembate rispetto a quella di Motta Visconti si differenzia però in un aspetto fondamentale: nel primo caso Bossetti è, per ora, solo accusato di essere l'assassino (anche se il Dna e le prove a suo carico lasciano poche altre possibilità), mentre nel secondo caso l'assassino ha confessato. "Fermato il presunto assassino di Yara", hanno titolato alcune testate giornalistiche. "Presunto", appunto. Autorità, istituzioni e media però ne hanno da subito parlato come fosse certo, creando una sostanziale confusione sulle posizioni formali ed ufficiali di chi di dovere: Alfano, Ministro dell'Interno, non ha esitato ad annunciare, anche via Twitter, l'esito delle lunghe indagini e il nome del (presunto) assassino, definendolo sostanzialmente come sicuro, salvo creare successivamente imbarazzo in Procura, dove si aspettavano maggior riserbo sulla vicenda, "anche a tutela dell'indagato", che ricordiamo essere ancora solo accusato e non condannato. Alfano ha cercato poi di rimediare alla gaffe con un tweet nel quale ricorda la presunzione di innocenza sancita dalla Costituzione, ma ormai inevitabilmente la frittata era fatta: la smania di fare una bella figura ha portato a farne una cattiva. Ormai purtroppo si sa, ciò che fa notizia sembra non rispondere più alle regole del buon senso e della giusta cronaca: lo scoop viene prima di tutto, poco importa se uno è accusato di un crimine o ne è invece ritenuto responsabile tramite un regolare processo e una condanna. Ciò che importa è che bisogna soddisfare la necessità di trovare un colpevole, scatenando una gogna mediatica che rischia però di trasformare in negativo la realtà, eliminando la differenza fra accusa e condanna. A scanso di equivoci è giusto sottolineare come l'accusa a Bossetti sia fortemente fondata, dopo lunghe e approfondite indagini rafforzate dai risultati del Dna, che si avvicinano alla quasi totale certezza. Il problema è il principio sbagliato: oggi è capitato ad un uomo quasi sicuramente responsabile, domani potrà capitare ad un semplice sospettato, magari poi innocente, la cui reputazione sarà comunque infangata e cancellata. 

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