sabato 2 novembre 2019

Due chiacchiere sull'Amazzonia con don Claudio Pighin


Missione, inculturazione, ecologia integrale, difesa dei popoli indigeni, rito amazzonico, ruolo della donna e nuovi ministeri. Sono questi i temi emersi durante il recente Sinodo sull'Amazzonia e ricapitolati nel Documento finale prodotto. Un documento che definisce la Chiesa "alleata dell'Amazzonia", una terra che sta vivendo un momento storico particolare, sia dal punto di vista ambientale che da quello politico. Una terra che ci sembra lontana, ma la cui attualità non è così distante dalle problematiche che siamo chiamati oggi ad affrontare. 

Di Amazzonia parlo con don Claudio Pighin, nato a Zoppola (in provincia di Pordenone) nel 1952, che in quei Paesi “lontani” ci ha vissuto in missione per ben quarant’anni. Oggi è parroco a Pordenone, ma quando ci parlo per la prima volta non posso che notare come il suo accento sia tutt’altro che pordenonese. 



Don Claudio, come è nata la sua vocazione alla consacrazione? 

A undici anni sono entrato nel Seminario di Pordenone e poi nel seminario teologico di Monza del PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere). Fin da bambino ho sentito il grande desiderio di essere missionario per servire quelli che avevano bisogno nelle terre di missione. Nella mia testa era fisso questo desiderio di servire quelli che soffrono oltre Oceano.

Quali sono state le attività svolte durante la sua attività missionaria? 

Sono partito per l’Amazzonia brasiliana all’età di 26 anni, appena ordinato sacerdote. Ho girato abbastanza l’Amazzonia e dedicato molto del mio tempo all’educazione. Ho fondato la scuola di comunicazione ‘papa Francesco’ che si rivolge esclusivamente ai giovani poveri del Pará e Amapá, alle foci del Rio delle Amazzoni. Una scuola quindi gratuita che dà un diploma tecnico. Vogliamo aiutare i giovani a diventare protagonisti della società.

Cosa le viene in mente quando si parla di Amazzonia?

Da missionario che ha vissuto per ben quarant’anni nell’Amazzonia brasiliana, posso testimoniare l’importanza di discernere la volontà di Dio e come si riesce o meno a vivere il Suo progetto. Dio ha consegnato al patrimonio umano una terra ricca di foresta, di acque, di flora, fauna, ma i popoli che la vivono, soprattuto gli indios, stanno soffrendo e non riescono a vivere in armonia con la propria natura. 

Quali sono, a suo avviso, le cause di questa sofferenza?

I grandi progetti che si sono installati in questa terra verde, apparentemente sembrano un progresso di vita, ma in verità sono diventati una minaccia per l’equilibrio della vita di quei popoli. Quante persone, le più vecchie, mi hanno detto: “Padre, prima, quando eravamo ben giovani, avevamo tutto; non ci mancava pesce, caccia, frutta, açai, farina di mandioca, galline e ora invece queste cose ci mancano sempre di più. Padre, tutto è cambiato, soprattutto da quando hanno fatto le prime strade. La nostra vita ora non è più tranquilla e serena. Allora non avevamo documenti di proprietà, ma tutti ci capivamo e ci rispettavamo. Ora che sono arrivati i grandi progetti tutto è cambiato e persino tra di noi non siamo più gli stessi” 

Qual è il contributo che può dare l’attuale Sinodo sull’Amazzonia? 

La vita degli amazzonici è la testimonianza dei cambiamenti radicali della vita in Amazzonia. Hanno perso il loro habitat del passato per vivere una nuova realtà che non è più loro. Per questo, la Chiesa non può evangelizzare se non ascolta il clamore dei popoli che là risiedono. Come una madre che si preoccupa per il figlio, così la Chiesa si preoccupa per i popoli dell’Amazzonia. L’amore della Chiesa la rende più vicina a loro per difenderli e aiutarli. Il Sinodo è una risposta di amore anche per quei figli e figlie che sono in Amazzonia.

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