giovedì 3 settembre 2015

AYLAN, LA MEMORIA DEI MIGRANTI MORTI IN MARE

Photo credit: Internazionale


Aylan, 3 anni, è disteso a pancia in giù sulla battigia della spiaggia di Bodrum (Turchia). È immobile, con la testa appoggiata sul lato destro. Questa è la descrizione della foto scattata al corpicino del piccolo trovato senza vita che sta facendo il giro del mondo sul web e su molti dei principali media internazionali, motivo per il quale non la pubblicherò nel presente post. Come era prevedibile si è aperto un articolato dibattito sul dovere di pubblicare la foto o meno: in Italia il Manifesto e La Stampa hanno deciso di pubblicarla in prima pagina per non tacere e nascondere un drammatico evento che deve a questo punto risvegliare le coscienze e sensibilizzare l'opinione pubblica, come spiegato dal direttore del quotidiano torinese Mario Calabresi - intervenuto anche a Radio3 a tal proposito - in un editoriale e in questo articolo. All'estero The Indipendent ha pubblicato la foto per sensibilizzare in primis il premier britannico David Cameron, restio ad accogliere largamente i migranti in arrivo dal Medio Oriente, così come molti altri organi di stampa quali The New York Times, El Mundo, El País e Le Monde, con diverse e articolate motivazioni riassunte in questo articolo di Internazionale

Giusto o non giusto pubblicare la foto del piccolo Aylan? In un recente articolo che ho scritto per The Bottom Up ho spiegato come non fosse il caso di pubblicare i video dell'uccisione dei due giornalisti in Virginia, per rispetto dei loro cari e anche perché la notizia poteva essere coperta giornalisticamente anche senza mostrarli. Quello di Aylan è un caso diverso, in quanto la dinamica non è studiata mediaticamente come l'omicidio dei reporter statunitensi. In ogni caso la drammaticità della foto va a toccare inevitabilmente la sensibilità del lettore e per questo motivo penso che quantomeno vedere l'immagine debba essere una sua libera scelta. Mettere la foto di Aylan in prima pagina è una decisione condivisibile o meno, a patto che essa venga accompagnata da un contesto che ne spieghi le dinamiche: è cioè necessario l'accompagnamento delle parole in modo che la foto non diventi strumentale ma un elemento contestualizzante della notizia. 



Scegliere di pubblicare la foto per sensibilizzare autorità, istituzioni e opinione pubblica, senza girarsi dall'altra parte e senza ignorare la realtà è una motivazione rispettabile. Quello che dobbiamo chiederci però è: domani, quando probabilmente ci sarà un'altra notizia da coprire, ci ricorderemo ancora di questo dramma? Aylan, che oggi è compianto da tutti, domani sarà ancora nei nostri pensieri? Se la risposta sarà negativa allora aver pubblicato la foto sarà stato inutile. 



La storia di Aylan non deve essere dimenticata. Il mare ce l'ha restituito, decidendo di non inghiottirlo dopo essersi preso la sua vita, quella della madre e quella del fratellino più grande, Galip, di 5 anni. A sopravvivere al disperato tentativo di arrivare sull'isola greca di Kos - negli ultimi tempi meta di migliaia di migranti in fuga dalla Siria - solo il padre, notevolmente scosso e disperato per la perdita della sua famiglia. Una storia drammatica, che però non è l'unica. I migranti che dall'inizio dell'anno hanno attraversato il Mediterraneo sono circa 300mila e circa 2500 sono quelli morti (dati UNHCR): fra questi sono morte chissà quante decine di bambini e sono state distrutte centinaia di famiglie. Solo che nessuna fotografia ne ha immortalato pienamente il dramma come quella di Aylan. La sua foto - come quella che lo ritrae senza vita in braccio ad un paramilitare turco - ci ha permesso di venire a conoscenza di una drammatica storia di disperazione e speranze infrante dalla morte: è un'eredità della quale tutti dobbiamo farci carico, a livello politico e istituzionale quanto a livello sociale ed umano. È un'eredità della quale siamo responsabili nell'uso che ne faremo.

Se davvero vogliamo ricordare Aylan, che del dramma della guerra e dell'egoismo dell'uomo è solo una innocente vittima inconsapevole di tutto, dobbiamo fare memoria ogni giorno di questo dolore, che è emblema di altre migliaia. Voler svegliare le coscienze è giusto, ma dobbiamo tener presente che se la nostra coscienza si sveglia soltanto di fronte alla morte sarà comunque troppo tardi: essa dovrebbe già svegliarsi di fronte alle centinaia di bambini che invece di giocare impugnano armi in Siria e alle migliaia di persone che per avere una vita dignitosa sono costrette a scappare dalla loro terra rischiando la vita in mare perché l'alternativa è una morte certa. 



Se di fronte a tutto questo domani la nostra coscienza sarà ancora assopita, aver pubblicato la foto di Aylan non sarà servito a niente se non a riempire pagine di giornali come accade ogni giorno. Se domani saremo già distratti da mille discorsi senza aver fatto un passo in avanti vorrà dire che non avremo capito niente. Soprattutto che nonostante una vita spezzata troppo presto, Aylan ha una missione: essere la memoria delle migliaia di migranti morti in mare per una vita migliore

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